Appropriazione di animali. Quando è reato - Sent. Cass. n. 18749/2013

Nella Sentenza n. 18749 del 5.02.2013, la Corte di Cassazione ha affermato che l’appropriazione di animali smarriti – nel caso sottoposto al suo giudizio un cane – integra l’illecito di “appropriazione di cose smarrite, del tesoro e di cose avute per errore o caso fortuito” previsto dall’articolo 647 del Codice Penale (abrogato dal 6.02.2016).
La Corte ha specificato che l’impossessamento di un cane smarrito rientra nelle ipotesi dei ritrovamenti avvenuti per “caso fortuito”. Sia in questa decisione, sia in quelle emesse in precedenza dalla stessa Corte, si è precisato che l’impossessamento di animali smarriti comporta la punibilità ex articolo 647 del Codice Penale in quanto gli stessi rientrerebbero nella categoria delle “cose mobili”.
Al fine di aversi la punibilità per appropriazione di animali, occorre che:
a. il soggetto non abbia restituito la cosa;
b. il soggetto abbia la volontà di convertire il possesso in proprietà, rifiutando di restituire la cosa per il fine di appropriarsene.
Nel caso quindi in cui un soggetto ritrovi un animale smarrito, lo stesso dovrà seguire la procedura prevista dall’articolo 927 e seguenti del Codice Civile, ovvero, in alternativa, potrà avvertire l’autorità del reperimento. Ciò è opportuno che sia fatto al fine di non rischiare di essere imputati per il reato di cui all’articolo 647. L’articolo 927 del Codice Civile prevede in particolare che chi trova una cosa mobile debba restituirla al proprietario e, se non lo conosce, deve consegnarla al Sindaco del luogo del ritrovamento; il tutto deve avvenire “senza ritardo”, così dispone l’articolo 927 Cod. Civ.
L’articolo 929 del Codice Civile prevede che, trascorso un anno dalla pubblicazione da parte delle autorità senza che nessuno si presenti come proprietario, la cosa appartiene a chi l’ha trovata.
Va però precisato che non può considerarsi come cosa smarrita – e dunque il reato dell’appropriazione indebita non si integra – quella che abbia su di sé impressi dei dati identificativi, come ad esempio una targa, dei numeri di matricola … (Cassazione Penale, addì 2.05.1951; Cassazione Penale, addì 7.11.1969). Allo stesso modo, non può ritenersi smarrita la cosa lasciata in un luogo per dimenticanza, quando il luogo stesso sia nella mente del proprietario: in tale ultimo caso si integra il reato di furto. E’ invece smarrita la cosa che non possa rientrare nel possesso della persona in quanto è ignoto il luogo in cui la stessa si trovi.
Questo è il testo della Sentenza n. 18749 del 5.02.2013 della Suprema Corte:


“Ragioni di diritto

 

Il ______ è stato tratto a giudizio con l’accusa di essersi appropriato di un cane di razza meticcia boxer di colore tigrato di nome ______, del quale era entrato in possesso per caso fortuito, rifiutandone successivamente la restituzione al legittimo proprietario. All’esito del giudizio di appello la Corte territoriale ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per prescrizione, riducendo la quantificazione del danno risarcibile alla parte civile nella misura di Euro 500,00. Il ricorso va accolto con le seguenti precisazioni.
Il reato di cui all’art. 647 c.p. prevede il fatto appropriativo di cosa smarrita della quale una persona abbia acquisito il possesso per errore altrui o per caso fortuito. Ai fini della legge penale gli animali devono essere considerati “cose”, assimilabili – secondo i principi civilistici – alla “res” in questo senso Cass. Sez. 5, 11.10.2011 n. 231; infatti posto che gli animali non possono essere considerati “persone”, giocoforza, facendo riferimento alle categorie proprie del diritto civile, essi devono essere ricompresi nel novero delle “cose” (mobili), con susseguente applicabilità delle relative fattispecie penali, fra le quali quella qui contestata, ricorrendone le relative condizioni.
Va osservato che l’art. 647 c.p., in un’ottica di unitarietà del sistema giuridico, deve essere coordinato con quanto previsto dall’art. 925 c.p. ove è previsto l’acquisto della “proprietà” dell’animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato e l’animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove essi si trovano.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 647 c.p., occorre che l’acquisizione del possesso debba avvenire per caso fortuito o per errore altrui; l’acquisizione del possesso di una cane che si sia “smarrito”, può essere fatta rientrare fra le ipotesi di “caso fortuito”.
Secondo la decisione della Corte d’Appello, appaiono come dati pacifici il fatto che il “cane” si sia smarrito, così sfuggendo ai proprietari, venendo “raccolto” dall’imputato che non avrebbe inteso restituirlo, dubitando altresì della identità tra l’animale trovato e quello smarrito. I suddetti aspetti sono stati messi in discussione dalla difesa dell’imputato anche nella presente sede, ma non possono essere presi in considerazione sotto il profilo di una diversa ricostruzione del fatto attraverso una diversa lettura del dato probatorio, trattandosi di attività che è preclusa nella presente sede di legittimità.
Sotto il profilo di diritto si deve osservare che nella motivazione della decisione la Corte d’Appello, se pur investita della questione della sussistenza della fattispecie oggettiva dell’art. 647 c.p., non svolge alcuna indagine circa il necessario coordinamento dell’art. 647 c.p. e art. 925 c.c., con la conseguenza che non appare verificata con certezza l’integrazione della fattispecie di reato contestata: non risulta dalla motivazione della decisione, in modo preciso, quando il cane sia stato smarrito e quando esso sia stato rivendicato dall’avente diritto e se tale richiesta sia stata fatta nei termini di cui all’art. 925 c.c.. Tale mancanza costituisce vizio di carenza della motivazione su un punto essenziale della decisione, perchè investe un aspetto che ha riflessi diretti sull’applicazione della norma penale. A ciò deve aggiungersi ancora, che dalla motivazione della sentenza rimane non chiarito l’aspetto delle modalità con le quali sia stata fatta la richiesta di restituzione dell’animale e in particolare a quale persona. Anche in questo caso la omissione integra un vizio di carenza di motivazione su un punto che è stato oggetto di doglianza da parte della difesa dell’imputato.
La carenze indicate, riconducibili per un aspetto alla categoria dei vizi disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) e per altro verso a quelli specificati dalla lett. e)  della medesima norma, impongono l’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, siccome parzialmente fondati, con conseguente annullamento della decisione impugnata, dovendosi ritenere assorbiti i restanti motivi.
Per le suddette ragioni l’annullamento della decisione impugnata impone il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Conclusioni

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2013”.

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