Cane in condizioni di cattività? Scatta il reato di maltrattamenti - Cassazione penale, sez. III, sentenza 20/02/2018 n° 8036




Integra il concetto di sevizie e comportamenti incompatibili con le caratteristiche dell'animale, costituendo elemento materiale del reato ex art. 544 ter c.p. il tenere lo stesso, per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un'adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità.

E' quanto statuito dalla Corte di Cassazione (sentenza 16 gennaio - 20 febbraio 2018, n. 8036) con riguardo al caso sottoposto al suo esame, conclusosi con la condanna del ricorrente in entrambi i gradi di giudizio per avere inflitto, senza necessità, maltrattamenti e sevizie a un cane di razza pastore tedesco, tenendolo per vari giorni legato ad una catena all'aperto, in assenza di un valido riparo, privo di assistenza igienica, senza somministrazione né di cibo né di acqua.

Il ricorrente aveva interposto ricorso per cassazione avverso la sentenza resa in secondo grado contestando la qualificazione del reato come maltrattamento ex art. 544 ter anziché come abbandono ex art. 727 c.p. sull'assunto secondo cui l'animale non aveva patito delle lesioni dolosamente cagionategli dall'imputato.

Giova ricordare come l'articolo che disciplina il reato contestato al ricorrente reciti al primo comma Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La Corte ha, pertanto rilevato come nel caso di specie fosse inconferente la censura del ricorrente circa il mancato riscontro di lesioni nell'animale, poiché la condotta a questi contestata era di aver inflitto senza necessità sevizie consistite nel tenere l'animale in condizioni incompatibili con le caratteristiche etologiche dello stesso – tanto che all'intervento del veterinario presentava uno stato di magrezza e deperimento avanzato tale da subire un collasso - integrandosi appieno una delle modalità tipiche di estrinsecazione della condotta previste in via alternativa dalla disposizione sopra richiamata.

Fermo restando che la condizione in cui era stato trovato il cane, non in grado di reggersi sulle quattro zampe né di alimentarsi, è comunque riconducibile al concetto di lesione, l'elemento materiale del reato è già integrato – ha spiegato la Corte – dal fatto di tenere l'animale per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un'adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità poiché è nozione di comune esperienza il dato secondo il quale il cane sia di per sé un animale gregario, destinato cioè a vivere (...) non isolato ma in comunione con altri soggetti, comunemente rappresentati, data la oramai millenaria consuetudine che tale bestia ha con la specie umana, da uomini nei cui confronti esso non di rado riversa, in una auspicabile mutua integrazione, i segni evidenti della propria sensibile affettività, dovendo, peraltro, ricevere dall'uomo, ove sia instaurato con esso un rapporto di proprietà, le necessarie cure ed assistenze.

Ciò chiarito sotto il profilo dell'elemento materiale, la Corte ha poi riconosciuto la corretta qualificazione come maltrattamento anziché come abbandono essendo stata la condotta contestata al ricorrente posta in essere in termini di piena consapevolezza e volontarietà. A riguardo, infatti -  ha precisato - il criterio discretivo fra le due fattispecie è riconducibile al diverso atteggiamento soggettivo dell'agente (…)  essendo la prima connotata dalla necessaria sussistenza del dolo, persino nella forma specifica ove la condotta sia posta in essere per crudeltà o, comunque, nello sua ordinarie forme ove la condotta sia realizzata senza necessità (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 novembre 2007, n. 44822), mentre nel caso del reato di cui all'art. 727 cod. pen. la produzione delle gravi sofferenze, quale conseguenza della detenzione dell'animale secondo modalità improprie, deve essere evento non voluto dall'agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia, ma derivante solo da una condotta colposa dell'agente (Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 maggio 2016, n. 21932).

Sulla scorta di tali argomentazioni la corte ha dichiarato inammissibile il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.



(FONTE: Altalex, 3 aprile 2018. Nota di Anna Larussa - altalex.com)



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