Ecco come cani e gatti adottati all'estero sono vittime del traffico internazionale

Ecco come cani e gatti adottati all'estero sono vittime del traffico internazionale

Trasferiti da Sud a Nord e anche oltreconfine spesso si perdono le tracce degli animali. L'accusa: invece di essere affidati a delle famiglie finiscono nei giri dei combattimenti clandestini, usati nel traffico di droga e per la vivisezione. La polemica sulla mancanza dei controlli. La Lega nazionale per la difesa del cane si dichiara per la prima volta contraria alle adozioni all'estero e annuncia un nuovo regolamento interno anche per i trasferimenti in Italia

 

In una folle giostra di scambi, trasferimenti di massa, furgoni, treni e persino aerei, accompagnati dalla distrazione delle istituzioni, i randagi italiani girano la Penisola o varcano le sue frontiere in cerca di un migliore altrove. Spesso, grazie all'opera di una straordinaria rete di volontari, trovano casa e affetto. Ma altrettanto di frequente bene e male si sovrappongono e confondono e gli animali, di cui si perde traccia, finiscono a lotte clandestine, vivisezione, bordelli in cui vengono abusati sessualmente (con tanto di video), macellazioni, commercio di pelli e pellicce, traffico di droga. Buone e pessime intenzioni sembrano mescolarsi in un rompicapo troppo faticoso per la giustizia, comodamente secondario per la politica. L'idea che il randagismo non sia debellato per avallare il business dei canili finanziati dallo Stato è rafforzata dall'impressione, sempre più insistente, che gli animali vengano riciclati per ulteriori commerci.

Sistema ramificato. Si tratterebbe di un vero sistema ramificato, forse non lontano da interessi malavitosi. Nulla di comprovato, solo una quantità di episodi e numeri impressionanti. Nessuno indaga a fondo, malgrado la pioggia di segnalazioni e le disperate denunce di volontari che in  tutta Italia vedono svuotare i canili verso illogiche destinazioni, siano esse in altre regioni che verso l'Europa settentrionale. Fa eccezione un processo a rischio prescrizione presso il Tribunale di Napoli, istruito grazie alla tenacia di un minuscolo gruppo animalista e a una pm capace di portare in giudizio il traffico dei randagi di Ischia, camuffato da affettuose adozioni in Germania. Si fanno intanto frequenti, su iniziativa di attivisti e guardie zoofile, i fermi di furgoni stracolmi di animali drogati, addormentati, ammucchiati in carichi diretti a Nord. Tant'è che la Lega nazionale per la difesa del cane si dichiara per la prima volta contraria alle adozioni all'estero e annuncia un nuovo regolamento interno riguardo i trasferimenti in Italia.

Legge ottima ma inutile. A dispetto di una legge nazionale sul randagismo fra le più avanzate al mondo, la 281/91, che correttamente applicata consentirebbe la risoluzione di una profonda piaga sociale, sanitaria e morale, le ingenti somme stanziate dallo Stato italiano - fra i 200 milioni calcolati dichiaratamente per difetto dal ministero della Salute e i 500 stimati da un dossier dell'Ugda, Ufficio garante dei diritti animali, sortiscono pessimi risultati e incoraggiano gestioni inefficienti, se non criminali. Al contrario di quanto avviene nella maggior parte degli altri paesi, la nostra normativa proibisce la soppressione dei randagi e vieta che siano ceduti alla sperimentazione, ma richiede di prevenire contenendo le nascite attraverso sterilizzazioni sistematiche, identificando ogni soggetto con il microchip.

Ciò nonostante l'Italia è una fabbrica di cani e gatti. Laddove le autorità fanno a gara per sbarazzarsene, mani avide raccolgono una materia biologica inerme, fruttuosa, abbondante soprattutto nelle regioni del centro-sud. Il motto è emergenza. Una condizione perenne e condivisa da chi si batte civicamente per la salvezza degli animali e gli enti preposti a garantirli. Realtà intollerabili inducono a sperare in soluzioni avventurose, ispirano provvedimenti superficiali, ancorché illegittimi.  Esistono dunque gli strumenti ma non la volontà di sconfiggere un malessere di cui è persino impossibile definire le proporzioni. 

Una pioggia di soldi. "Nel 2011 è stata ratificata la presenza di 904 strutture fra canili sanitari e rifugi privati o convenzionati in tutta Italia: una palese sottostima da cui sono escluse le numerosissime strutture abusive", spiega Rosalba Matassa, coordinatrice dell'Unità operativa per la tutela degli animali, lotta a randagismo e maltrattamenti del ministero della Salute, "Ma i nostri dati vanno letti con drastica approssimazione. Si basano sulle parziali, contraddittorie comunicazioni delle Regioni.  In teoria vi sarebbero accolti 143mila animali. Ma già il ritmo ufficiale degli ingressi, 102mila nel 2011 e 104mila nel 2012, non è conforme alla valutazione globale. Va considerata una percentuale di animali smarriti, identificati e restituiti ai proprietari di cui peraltro non abbiamo certificazione ufficiale. I contributi erogati alle strutture variano fra 0,50 e 12 euro al giorno, se facciamo una media di 4 e la moltiplichiamo per i 143mila esemplari di cui si ha nozione raggiungiamo i 572mila euro quotidiani; in realtà si spende molto di più". Da questo calcolo è escluso il sostanziale contributo privato; tempo, denaro, energie di tutti coloro che hanno a cuore gli animali e prestano opera gratuita nei canili, sterilizzano a proprie spese le colonie feline, acquistano cibo e medicine, si adoprano per trovare buone adozioni. Rimane però la sensazione di scrivere sulla sabbia, mentre la sofferenza, umana e animale, si rinnova ogni minuto.

Strutture lager. Destinatari di maltrattamenti, cibi avariati e medicinali scaduti, in prevalenza al Centro-Sud i randagi sono sovente rinchiusi a gruppi nei putridi box di canili indecorosi. Non è sempre così, naturalmente, ma queste immagini prevalgono con prepotenza sui risultati di chi lavora con coscienza e impegno, sui progetti generosi, virtuosi, di cui l'Italia è piena. Gli abbandoni vincono dunque sulla forte disponibilità nazionale ad accogliere in casa un meticcio e negli occhi custodiamo creature coperte di piaghe o ricucite col filo da pesca, assegnate attraverso ignobili appalti a quei gestori che propongono la propria ospitalità al massimo ribasso. 50-80 centesimi al giorno per accalappiare, sterilizzare, nutrire, curare ciascun esemplare e persino smaltirne la carcassa. Il contributo viene incassato e i cani se ne vanno al diavolo Custodiamo in un angolo della coscienza le ombre di Cicerale del Cilento, il più famoso canile lager che per decenni ha inghiottito i randagi di 97 comuni, come pure la catasta di corpi, incisi sul collo per estrarne il microchip, rinvenuta a Somma Lombardo. Da qualche parte riecheggiano i latrati soffocati del rifugio di Noha, in Puglia, dove si folgoravano le corde vocali; più recenti le mostruosità di Poggio Sannita, mentre confidano ancora nella giustizia, benché il processo napoletano langua, i cani di Forio d'Ischia. Per loro, spediti in Germania con la scusa di adozioni internazionali rivelatesi false e al centro di una movimentazione di denaro, cinque rinviati a giudizio sono oggetto di gravi imputazioni. "In tre anni abbiamo sequestrato 12 strutture, negli ultimi mesi compiuto 14 ispezioni con immancabili le prescrizioni", aggiunge la Matassa. Mentre Marco Avanzo, responsabile del Nirda-Nucleo investigativo reati in danno agli animali del Corpo Forestale dello Stato osserva: "Riscontriamo di tutto, dai canili lager fino a strutture d'eccellenza. Problema comune sono le mancate sterilizzazioni".

Partenze sospette. "Com'è possibile che da Campania e Puglia partano in staffetta 1.200 cani ogni mese, per tacere dei gatti?", si chiede frattanto Marco Caterino, coordinatore delle guardie zoofile Oipa di Caserta e Provincia. Le staffette sono viaggi ideati dai volontari per facilitare le adozioni di animali da Sud a Nord. Le autorità non se ne curano, le Asl di partenza non chiedono riscontri da quelle d'arrivo, irrilevanti i controlli delle forze dell'ordine. Alle spedizioni solidali, organizzate anche a costo di grandi sacrifici, si accavalla uno sregolato viavai. "Fermiamo carichi diretti a settentrione, quando sappiamo che anche lì hanno i canili pieni. Animali accatastati, sedati, a bordo di mezzi irregolari. A seguito dei sequestri, poi, andiamo di persona a consegnare cane o gatto ai destinatari, ma questi sono prestanome. Sostengono di aver fatto richiesta per accontentare qualcun altro. La documentazione che accompagna i furgoni prevede scarichi e ricarichi lungo  l'intera Penisola, fino alle frontiere. Talvolta sono già indicati approdi esteri, ad esempio la Svizzera".

Chi controlla il controllore? "È uno schifo. E nessuno controlla il controllore. I rappresentanti di enti locali e Regioni, che dei randagi sono responsabili, non ne rispondono mai personalmente", accusa Paola Suà, presidente dell'Ugda che sul randagismo ha curato un duro dossier consegnato al Parlamento della scorsa legislatura. "Ad aggravare ignavia e incompetenza di troppe Asl, le polizie municipali non hanno altro diretto superiore che il sindaco; se questi è indifferente o connivente con gli appetiti delinquenziali, è la fine", aggiunge Carla Rocchi, presidente dell'Enpa, Ente nazionale protezione animali: "Comuni e soprattutto Asl si trincerano dietro l'obbligo di dimostrare il dolo da parte dell'eventuale denunciante". La 281/91 descrive i canili come luoghi di mero transito nell'attesa di adozioni controllate, e i fondi pubblici (4 milioni l'anno scesi a 300mila euro) sono assegnati alle Regioni per prevenzione e educazione. Ma nelle pieghe della normativa si annida il difetto. Affidate alle Regioni le competenze territoriali, ciascuna ha sotto-legiferato a sé, distribuendo soldi e autonomia a una miriade di realtà locali. Sembrerebbe un paradosso, ma non è raro che gli animali siano incoraggiati a riprodursi negli stessi canili, quindi di nuovo abbandonati sul territorio, affinché continuino ad alimentare il sistema. In un simile far west tante strutture che si assicurano il contributo pubblico - in base al numero degli ingressi, se non a densità di popolazione umana - non hanno interesse a favorire le adozioni, né una vita decente ai cani.

In mani sbagliate. "Anche nelle regioni più avanzate, dove oggigiorno si sterilizzano perlomeno le femmine, il business dei canili è nelle mani sbagliate. I rifugi privati hanno di solito origine da cacciatori e allevatori: nel '91 avevano già i serragli, col tempo li hanno sanati. Hanno un approccio assai diverso dalle associazioni animaliste, che si adoperano perché gli animali trovino al più presto casa", racconta Sara D'Angelo, fondatrice della onlus Vita da Cani che vanta in Lombardia un parco canile modello e un santuario dove si riabilitano soggetti mordaci o riscattati ai test di laboratorio. "La prevenzione va affiancata dalla buona  gestione. Per un periodo bisognerebbe proibire la nascita di nuovi cani e gatti, bastano quelli che abbiamo! E quanti allevamenti clandestini ovunque; pure le periferie del milanese sono piene di pitbull in vendita".

Affari su internet. Soluzione imprudente per tanti Comuni che non si sognano di adempiere ai controlli pre e post affido, massicce adozioni internazionali - che nulla spartiscono con lo slancio occasionale del turista mosso a compassione o l'interessamento del singolo - sono praticate da specialisti che svuotano canili interi alla volta del Nord Europa. Lassù con gli animali s'interrompe ogni contatto, salvo ricevere qualche foto su un anonimo cuscino. I volontari che non rinunciano a cercarli li ritrovano a volte in vendita sui siti stranieri. 150-400 euro ciascuno, per rimborsare le spese di trasferta. Facendo una media bassa sui numeri del solo ZERGportal - Happy Endings  (uno dei moltissimi portali dedicati) si arriva nel 2008 a un totale di 3.549.800 euro per i 17.749 esemplari di cui si annuncia la sistemazione, contro i 15.114 del 2012. Preferibile ma arduo credere che tutti gli animali, provenienti ogni anno a centinaia di migliaia da Italia, Grecia, Turchia, paesi dell'Est, approdino presso gentili famiglie straniere che pongono in secondo piano la salvezza dei propri randagi, di regola soppressi. "Ci siamo battuti a lungo contro le esportazioni, ma resta un punto dolente", prosegue Sara. "Niente in contrario alla libera circolazione comunitaria, ma solo a parità di normativa e con una tracciabilità oggi inesistente. I nostri canili sono più affollati perché noi non uccidiamo." Come se i randagi non viaggiassero abbastanza, molti Comuni all'improvviso optano per l'assegnazione dell'appalto randagi fuori regione. Trasporti a spese dei cittadini e gli animali chi li rintraccia più? Battaglie all'ultimo sangue si sono consumate per opporsi al trasferimento a Crotone dei cani di Grosseto (impedito infine grazie a una sentenza del Tar), oppure da Volterra a Matera, dalla Basilicata alla Calabria, da Sarzana a Bologna.

Isolare i corrotti. "Occorre isolare le associazioni corrotte", avverte Paola Suà. "Stringono accordi con i piccoli canili, coinvolgono volontari in buona fede esasperati da tanta sofferenza. Si guardano bene, però, dal denunciare i cattivi gestori. Scattano foto agli animali più malridotti e ottengono di portarli fuori. Divulgano poi le immagini horror pilotando lo sdegno, pubblicizzando il rifugio, su cui così convergono aiuti".

Cambiare strategia. Un'associazione come la Lega nazionale per la difesa del cane, circa 200 sedi in tutta Italia, sta deliberando provvedimenti interni molto restrittivi. "Dobbiamo tutelare gli interessi ma anche la vita stessa degli animali, combattendo meccanismi inquietanti e privi di misura", dice la neo presidente Piera Rosati. "Siamo contro le adozioni all'estero e personalmente caldeggio gli affidi sul territorio, supportati da adeguate politiche. Capisco però che casi disastrati rendano ancora necessario sistemare i cani del Sud nelle regioni del Nord Italia. Per quanto ci riguarda, questo deve avvenire passando per ferrei controlli pre affido e successivi riscontri. Nuove linee guida richiederanno alle nostre sezioni massimo rigore e un migliore coordinamento".

(Fonte: http://inchieste.repubblica.it/)


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