Uno
studio svela che da una cagna abbandonata in sette anni si possono
ricavare ben 67mila cuccioli. La soluzione per sconfiggere il
sovraffollamento di cani ci sarebbe. E' semplice, efficace ed è prevista
dalla legge: la sterilizzazione degli animali. Ma né i Comuni né le Asl
l'hanno applicata. Si preferisce creare migliaia di canili che hanno un
costo enorme per la comunità, non risolvono il problema e finiscono per
aggravarlo. In nome del denaro che favorisce un po' tutti, dal pubblico
al privato, passando per le pseudoassociazioni intitolate
genericamente "amici degli animali". Un dossier denuncia il malaffare e
svela chi e come ci guadagna
di MARGHERITA D'AMICO, video di ANNA LAURA DE ROSA
Così funziona "il sistema"di MARGHERITA D'AMICO ROMA
- Qualcuno sa spiegarci perché il randagismo seguiti a essere una piaga
della società contemporanea? Come una malattia invasiva si rigenera da
sé, eppure la soluzione è talmente ovvia: contenere decisamente le
nascite. Invece, la maggior parte dei paesi sterilizza senza
convinzione, e si affronta piuttosto il problema uccidendo i milioni di
animali in esubero. Camere a gas dal Giappone agli Usa (anche il
principale canile municipale di New York è
contestato per le iniezioni letali a 72 ore dall'ingresso, in aggiunta
al sospetto che parecchi esemplari spariscano), e ancora soppressioni in
quasi tutta l'Europa, dalla Spagna alla Svizzera; stragi sommarie per
mondare le strade di Romania e Ucraina. La durezza tuttavia non paga: di
animali vaganti che seguitano a moltiplicarsi è ancora pieno il mondo.
Una politica diversa la intraprende ventiquattro anni fa l'Italia con una legge quadro civile e rara, la 281/91 ,
che vieta di sopprimere i randagi e pure di destinarli alla
vivisezione. La missione possibile è debellare il randagismo attraverso
sterilizzazioni a cura delle Asl, nonché educazione dei proprietari alla
medesima pratica. Ma la norma è subito disattesa al punto di favorire
incontrollabili movimentazioni di animali, battaglie feroci per ottenere
la loro amministrazione diretta, un sistema lucrativo e corrotto dove,
oggi più che mai, l'ultimo aspetto considerato è il benessere dei
quattrozampe.
Anche da noi, dunque, per ogni cane o gatto senzatetto che trovi casa ne nascono altri cento, mille. Uno studio dell'americana Doris Day Animal League
stabilisce che un cane femmina vagante e non sterilizzato sia soggetto a
una media di due parti l'anno, otto cuccioli ogni volta di cui almeno
quattro femmine, se non di più, che in cinque anni portano a 4.372 cani,
pronti, in sette, a diventare 67mila. Ma nel frattempo, anziché agire
di conseguenza, Comuni e Asl (responsabili e garanti legali dei
randagi) rivaleggiano per sbarazzarsene, pronti a imboccare qualsiasi
scorciatoia si prospetti. Non vanno incontro a epurazioni ufficiali di
massa, i nostri animali, ma a crudeltà, traffici, movimentazioni e lauti
interessi che rischiano di far rimpiangere non sia così.
La
lotta ad accaparrarsi la gestione di canili e rifugi in convenzione,
finanziati con fondi pubblici, è senza quartiere, e c'è chi oggi
denuncia vizi nelle gare d'appalto. I soldi sono parecchi, stanziati
perlopiù dalle amministrazioni locali: fino a pochi anni fa comunità
montane, unioni dei comuni e associazioni protezionistiche ricevevano
cifre importanti anche dal ministero della Salute (nel triennio 91-93
stanziava cinque miliardi di lire, trasformati in cinque milioni di euro
fra il 2005 e il 2010) nel 2014 ridotte al simbolico importo globale di
trecentomila euro.
Ridotta ai semplici materiali - bisturi, filo e anestetico - la
sterilizzazione di un animale può costare 20-25 euro e garantisce che
esso non si riproduca mai più. Perché, allora, non investire decisamente
i denari in tale direzione? Impossibile che cani e gatti si estinguano
del tutto arrecandoci un dispiacere, e si potrebbe così eliminare la
loro condanna a una vita grama e, in parecchi casi, a morte ancor più
atroce.
I rapporti zoomafie della Lav-Lega antivivisezione
sostengono che il randagismo frutti un giro di 500 milioni di euro
l'anno. Di sicuro non c'è Comune italiano che non attinga alle proprie
casse per la gestione, di solito indiretta, dei propri animali vaganti.
"I Comuni rimangono responsabili degli animali, anche quando trasferiti
in un'altra regione. Sono pertanto obbligati a provvedere a regolari
controlli, sia per verificare le condizioni di mantenimento e il
rispetto delle condizioni previste dal capitolato d'appalto, che per
sincerarsi dell'effettiva esistenza in vita degli animali all'interno
delle strutture onde evitare di continuare a pagare con soldi pubblici
le rette di mantenimento", ha chiarito Beatrice Lorenzin, ministro della
Salute, in una recente intervista a Repubblica,
mentre Piera Rosati, presidente della Lndc-Lega nazionale per la difesa
del cane, considera: "I canili debbono essere costruiti dai Comuni,
alle associazioni il ruolo di valore aggiunto a garanzia degli animali.
Noi, d'abitudine, gestiamo strutture in convenzione con i comuni, ma
tante nostre sezioni hanno rifugi di proprietà, mandate avanti con
donazioni e sforzi autonomi".
Per chi non si ponga scrupoli, il
bene in gioco che frutta a più livelli è appunto il randagio, quello che
in teoria nessuno vuole: conteso, sequestrato, scambiato, sballottato
da una regione all'altra e oltrefrontiera, a opera di innumerevoli parti
in causa. Tutti si dichiarano votati alla sua salvezza, ma è arduo
districarsi fra sincerità, ingenuità, competenze, malafede. Un marasma, e
le istituzioni alimentano le tentazioni peggiori. Non sono pochi i
comuni che, invece di premiare l'adottante con visite veterinarie
gratuite o forniture di mangimi, stanziano una tantum (400-500 euro)
devolute talvolta nemmeno al cittadino che accoglie l'animale, ma
all'associazione mediatrice.
Grazie a volontari eccezionali e a
chi opera correttamente nel settore, senz'altro nel nostro Paese
migliaia di animali che senza colpa seguitano a nascere trovano
affettuose soluzioni, ma di tantissimi altri, troppi, si perdono per
sempre le tracce. Partono dai rifugi, vengono accalappiati per la
strada, rubati nelle abitazioni, scambiati sul web, trasferiti in massa
verso adozioni fuori regione o all'estero, simili a buchi neri.
D'altronde, come verificare la sorte di tutti? Intanto a gestire i
canili - miglior bacino di raccolta di questa merce vivente - sono, in
conflittuale alternanza, associazioni, sedicenti tali e privati: gli
uni accusano gli altri, troppo spesso dimentichi della ragion prima di
cui vogliono essere arbitri: la tutela degli animali.
Canili, ecco il dossier-denuncia di MARGHERITA D'AMICO ROMA
- "A dispetto di una buona legge, dopo vent'anni di sovvenzioni al
randagismo, ci ritroviamo in un sistema equivoco e confuso che non
garantisce nessuno, tantomeno animali e gli autentici volontari. Bisogna
lavorare in direzione dell'abolizione dei canili così come sono intesi
oggi e bisogna incominciare con il punire abusi e disonestà, chiunque
ne commetta". Michele Visone, presidente di Assocanili,
Associazione nazionale gestori strutture di ricezione di animali
domestici, ha consegnato alle autorità giudiziarie un dossier fatto di
denunce e documenti riguardo le gare per l'assegnazione di gestioni dei
randagi in convenzione con i comuni.
Aggiunge Claudio Locuratolo, guardia zoofila Enpa di lungo corso: "Per avversare il randagismo
si sente sempre parlare dell'importanza del microchip, con cui almeno i
cani sono inseriti nell'anagrafe regionale, che dovrebbe confluire in
quella nazionale: sacrosanto, ma i controlli sono inesistenti e le
sanzioni per chi contravviene ridicole. Le cinture di sicurezza, per
fare un esempio, hanno iniziato a funzionare quando fioccavano le multe.
Bene la prevenzione quindi, ma è inevitabile passare per una fase che
inculchi l'obbligo con severità".
Stando al fascicolo, si verificano rilevanti leggerezze nello
scambio fra amministrazioni e assegnatari delle convenzioni pubbliche,
siano essi privati o stimate associazioni protezionistiche. Corsie
preferenziali, promettenti appalti tradirebbero gli animali,
subordinando i loro interessi alla corsa al finanziamento. I casi sono
parecchi, individuati fra le realtà locali, visto che le regioni
recepiscono la legge nazionale sul randagismo 281/91 e i comuni dirimono
la questione sul territorio. "In Toscana, per esempio, l'Enpa
conta su numerosissime gestioni degli animali ben sovvenzionate dal
pubblico", dice Visone. "L'Enpa di Pistoia, presieduta da un vigile
sanitario della locale Asl3 e componente della Commissione regionale, ha
con dodici comuni un appalto da centinaia di migliaia di euro, elargiti
previo affidamento diretto. In tal modo infatti, nel 2010, il Comune di
Pistoia assegnò all'Enpa il servizio di mantenimento dei cani randagi e
l'accudimento del canile sanitario, per un importo complessivo di circa
600mila euro valido tre anni, salvo rivalutazione Istat. Ma in ordine
alla cifra elevata, l'affidamento diretto non è consentito dalla legge 163/2006
(che prevede un tetto di 40mila euro, mentre sopra i 200mila la gara
assume rilevanza europea) e dalla Direttiva UE del 2014 che regolamenta
la certezza giuridica nel settore e l'assicurazione di un'effettiva
concorrenza e condizioni di parità tra gli operatori economici".
Numero di canili sanitari, 2013
17.171 **
N° totale di cani presenti al 1 gennaio 2013
97.859 *
N° totale di cani entrati nel 2013
23.264 **
N° totale di cani trasferiti dal canile sanitario al canile rifugio
nel corso del 2013
29.163 **
N° totale di cani usciti dal canile sanitario e restituiti al proprietario
nel corso del 2013
21.525 **
N° totale di cani usciti dal canile sanitario e adottatati da privati
nel corso del 2013
378 **
N° totale di cani nati nel canile sanitario nel corso del 2013
5.878 **
N° totale di cani deceduti nel canile sanitario nel corso del 2013
15.757 **
N° totale di cani presenti al 31 dicembre 2013
* I dati sono stati forniti da 21 Regioni e Provincie Autonome ** I dati sono stati forniti da 17 Regioni e Provincie Autonome
Come spiegano dal Comune di Pistoia, l'appalto coinvolge due
canili adiacenti: "Il canile sanitario, gestito per tutti i comuni
coinvolti da Enpa, e il canile rifugio di proprietà della stessa
associazione". In questi vasi comunicanti confluiscono i cani
accalappiati in ulteriori comuni fra cui Scandicci, che delibera nel
2012 lo stanziamento di 10.450 euro soltanto per "visita veterinaria
d'ingresso, eventuale tolettatura e trasporto" di 14 cani in arrivo
dall'Allevamento del Pratesi, distante pochi chilometri. Mentre il
Comune di Fucecchio, che peraltro non ha canile municipale, a inizio
2014 suggella una convenzione sempre con Enpa, in cui si stabilisce
(come nel caso di Scandicci) una retta di 5 euro al giorno per il
mantenimento di ciascun cane, in aggiunta a 220 cadauno all'entrata,
salvo conguaglio, per prestazioni veterinarie, nonché una somma
forfettaria qualora vi sia penuria di animali: "300 euro mensili per
tutti i giorni in cui il numero di cani è pari a 0", 200 in presenza di
un solo cane, 120 quando gli esemplari sono due. "E' per risparmiare"
chiariscono dal Comune di Fucecchio: "Negli anni precedenti la
convenzione era con altri, e spendevamo molto di più".
Numero di canili rifugio, 2013
91.799 **
N° totale di cani presenti al 1 gennaio 2013
40.099 **
N° totale di cani entrati nel 2013
25.507 **
N° totale di cani dati in adozione a privati nel corso del 2013
279 **
N° totale di cani nati nel canile rifugio nel corso del 2013
13.868 **
N° totale di cani deceduti nel canile rifugio nel corso del 2013
91.437 **
N° totale di cani presenti al 31 dicembre 2013
** I dati sono stati forniti da 17 Regioni e Provincie Autonome
"La no profit Amici a Quattro Zampe
di Pontedera ha invece stretto una quantità di convenzioni fra le
giunte della provincia di Pisa. E' recente l'aggiudicazione dell'appalto
dei cani dei dieci comuni dell'Unione Valdera per circa 170mila euro"
segnala ancora Visone "ma la struttura di proprietà della suddetta
associazione è autorizzata per circa 40 posti, quando il numero dei
cani previsti si aggira sugli 80". Secondo il dossier, anche il Comune
di Montecatini, aggiudicata la gara di accalappiamento all'associazione
Amici degli Animali, avrebbe omesso di verificare che fra gli scopi
dell'assegnataria mancava l'attività oggetto di gara".
"La
legge regionale della Toscana indica senza dubbio che la gestione dei
canili pubblici va assegnata preferibilmente ad associazioni d'impronta
protezionistica, ma spesso, in mancanza di strutture municipali
(soprattutto al Sud) la gara assume un connotato diverso e si svolge
solo per il servizio di mantenimento dei randagi che non rientra in tale
privilegio" prosegue Visone. "E ora la Corte Costituzionale, a seguito
del ricorso - perso - di un gestore privato al Tar della Puglia, si è
storicamente pronunciata esprimendo dubbi sulla legittimità della
normativa rispetto a tale vantaggio".
Passiamo alla Puglia,
allora; una regione fra le peggiori, quanto a colpevole mala gestione
del randagismo, teatro di alcuni paradossi. "Nove anni fa l'associazione
La Nuova Lara ottiene in
appalto la gestione del canile sanitario di Lecce. Ma nel 2013 denuncia
in Procura il sovraffollamento della struttura medesima (benché
municipale) assicurandosi, attraverso una procedura negoziata,
l'affidamento del servizio di trasferimento di ricovero, custodia e
mantenimento dei cani randagi per il Comune di Lecce, che prevede il
trasloco di 160 esemplari nel proprio rifugio privato, appena aperto".
Al punto 5 il bando recita: "Valore dell'appalto, per tre anni, pari a
963.600 euro per 400 cani". Ribatte Florana Catanzaro, vice presidente
de La Nuova Lara: "Più volte e da molti anni la nostra associazione e
gli stessi servizi veterinari avevano segnalato all'amministrazione
comunale lo stato di assoluto degrado del canile sanitario e le gravi
carenze strutturali, non ricevendo mai alcuna risposta".
C'è poi chi, col supporto istituzionale, rinasce dalle proprie ceneri. Vedi il gestore del canile lager di Marigliano (Napoli) sequestrato
nel 2010. Oltre a circa trecento animali maltrattati e sofferenti,
furono ritrovati corpi seppelliti che presentavano tagli sul collo, per
probabile asportazione del microchip. Ma la Asl non revocò mai
l'autorizzazione sanitaria alla struttura, consentendo così al titolare
di partecipare, qualche anno dopo, alla gara di appalto per i randagi
del Comune di Pompei, affidatagli in base a un considerevole ribasso.
"Seppur reclamato da innumerevoli petizioni e proteste, il trasferimento
degli sfortunati ospiti di Marigliano non ha ancora avuto luogo"
riferisce Visone "e ci risulta che l'avvocato del gestore del canile,
presidente dell'associazione Cani Felici Onlus, sia la moglie del
veterinario della Asl di Marigliano, competente per il canile in
questione. Il gestore ha poi realizzato un'altra struttura, La Sfinge,
nel vicino comune di Brusciano, di competenza della medesima Asl. Fra le
varie anomalie abbiamo appreso, nel far richiesta di accesso agli atti,
che misteriosi ladri avrebbero rubato i registri di protocollo nella
sede della Asl di Marigliano. A oggi, intanto, La Sfinge ha acquisito
appalti per circa 900 cani, superando di gran lunga la propria
autorizzazione di ricettività".
In generale, l'assenza dei
necessari requisiti fra i partecipanti ai bandi di gara sarebbe molto
frequente: "Non a caso associazioni e gestori privati pugliesi si sono
riuniti nel consorzio Cpa completandosi a vicenda con scambi di
competenze". Anche a Laterza (Taranto), sia Assocanili che
un'associazione locale trasmettono segnalazione all'Autorità di
vigilanza per i contratti pubblici, contestando la legittimità
dell'affidamento del canile municipale: "Malgrado la rilevanza europea
del bando, da 714mila euro, si è proceduto con modalità e criteri di un
appalto sotto la soglia comunitaria e omissioni delle dichiarazioni
previste".
Nel Lazio, addirittura, "un'associazione specializzata
esclusivamente in adozioni all'estero impone ai canili contratti di
esclusiva dell'immagine dei cani, al pari di un'operazione di marketing.
Inspiegabile, quando il cane deve andare in famiglia" conclude Visone:
"dobbiamo insomma distinguere chi dall'amore per gli animali si inventa
un progetto da chi, per il progetto, s'inventa l'amore".
A centinaia spediti verso le regioni del Nord di MARGHERITA D'AMICO
ROMA - La
promessa di un benefico Nord dove i randagi troverebbero un porto
sicuro è colma di insidie. Innegabile che le regioni del nostro
Settentrione abbiano attuato politiche migliori, sterilizzando di più e
controllando con maggior attenzione le strutture. Se per esempio in
Puglia, Sicilia, Campania, si incontrano animali in difficoltà a ogni
angolo di strada, a Milano o Torino questo non avviene. Ma la quantità
di animali che l'Italia e l'Europa del Nord dovrebbe assorbire appare
strabiliante e illogica. Basta guardare le movimentazioni: quelle verso
l'estero si possono, solo in parte, desumere dal cumulo di passaporti
richiesti alle Asl da associazioni e privati esportatori; di quelle
nell'ambito del territorio nazionale danno un'idea le quotidiane
staffette annunciate sul Web. Leggete su questo la nostra inchiesta "Sulla pelle dei randagi". Da
principio iniziative virtuose, evolute poi in redditizie manovre,
queste ultime consistono in viaggi perlopiù a pagamento. Per molti
animali funziona, ma tantissimi altri si perdono nel corso di
inaccertabili passaggi. Smarriti nei fumosi scambi ai caselli
autostradali, possono morire in viaggio o poco dopo. I rari fermi dei
furgoni a opera di guardie zoofile e polizia stradale hanno rivelato
esemplari ammassati nelle gabbie e narcotizzati, anche 80 per ciascuna
tratta, scoprendo spesso che le schede di adozione erano intestate a
prestanome. Ma finisce lì e presto gli animali vengono riconsegnati a
chi li ha fatti partire, pronti a essere nuovamente imbarcati.
Due
anni fa un breve incidente fra onlus vide Marco Caterino, coordinatore
delle guardie zoofle Oipa di Caserta, fermare per un controllo con la
polizia stradale una discussa staffettista professionale, in arte Mamma
Chiara. La donna si dichiarò volontaria dell'Enpa, il cui coordinatore
nazionale delle guardie zoofile, Antonio Fascì, addirittura la scortava
con un altro veicolo. "In rarissime occasioni abbiamo collaborato con la
signora, la quale, sul suo automezzo, ha utilizzato senza alcuna
autorizzazione il nostro logo e, per questo, è stata formalmente
diffidata", puntualizza Michele Gualano, direttore generale dell'Enpa.
"Qui
in Sicilia viviamo un momento drammatico, c'è una corsa incredibile ad
assicurarsi randagi da inviare al Nord", commenta Antonino Giorgio,
coordinatore regionale e presidente della sezione di Trapani della
Lndc-Lega nazionale per la difesa del cane. "Non solo non si ha idea di
dove questi animali realmente finiscano, ma così facendo si
deresponsabilizzano le istituzioni, già tanto manchevoli quanto a
controlli, sterilizzazioni. Ovunque spuntano sezioni locali di grandi
associazioni; tutte mandano fuori i randagi. Un sindaco del trapanese si
è persino vantato con la stampa di spedire i suoi in Germania".
Sedicenti
volontari si contendono gli animali, li arraffano contro la legge e il
buon senso. L'Italia intera è afflitta da furti di cani e gatti, rapiti
dentro abitazioni e giardini, per tacere dell'indiscriminato
prelevamento per strada dei randagi, e nemmeno esiste (come per le automobili) una banca dati centralizzata che consenta agli inquirenti di analizzare il sinistro fenomeno.
Ma
dove finiscono, a decine di migliaia, questi indifesi? Ecco che il
virtuoso Nord si trasforma in zona d'ombra, dove gli animali vengono
smistati, reindirizzati, depositati in stallo, vale a dire in
collocazione temporanea prima del successivo spostamento. Magari su un
comodo divano, ma si temono anche obiettivi atroci. Mercato di carni e
pelli, lotte clandestine, vivisezione occulta, zooerastia (abusi
sessuali sulle altre specie), trasporto della droga, sadismi e rituali
di vario genere. Laika è una barboncina bianca di undici anni e vive in
famiglia ad Avola (Siracusa) vicino al mare. D'estate segue in spiaggia
i padroni, e quando ne ha abbastanza rientra da sé. Il 20 agosto 2014
svanisce nel nulla, purtroppo non è microchippata. Giuseppina Nuccio, la
proprietaria, diffonde disperati annunci per tutta la contrada e su
Facebook. Su una pagina di presunto volontariato scopre una fotografia
di Laika pubblicata alcuni giorni prima della scomparsa. Per lei si
richiedono fondi, definendola abbandonata: cure, stallo e adozione.
Giuseppina scrive chiedendo che le venga restituita, ma la reazione è
sbalorditiva: "E il cane nn ce più e adesso ti attacchiiii al tram".
Giuseppina denuncia alla polizia di Avola: "Confido in una rapida
indagine che mi riporti Laika". E le volontarie replicano: "Ahahah anche
la denuncia per aver salvato una cagnolina gente di m...".
Date le disastrose gestioni del Sud e la mole di sequestri in
tutta la Penisola - Trani, Catania, Roma... la lista dei canili-rifugio
indegni lascia sbalorditi - e a volte si fatica sul serio a
sistemare gli animali sul territorio dove continuano a moltiplicarsi, o
comunque gli spostamenti trovano spiegazioni. "Per garantire esecuzione
all'ordine del Magistrato - in un'inchiesta che finalmente sta portando
alla luce i misfatti avvenuti fra silenzi e complicità - in mancanza
di alternative abbiamo trasferito 40 cani e 20 gatti in strutture fuori
dal Lazio" spiega Gianluca Felicetti, presidente della Lav-Lega
antivivisezione dalla cui denuncia è scaturito il sequestro del Canile
Parrelli di Roma. Riguardo poi i trasferimenti all'estero la Lav, che
tramite la sua sezione capitolina ha appoggiato nel 2011 l'invio in
Germania degli inquilini del canile di Rieti, anch'esso sequestrato,
dichiara una posizione ecumenica: "A questo tipo di adozioni non siamo
favorevoli, né contrari a prescindere".
In realtà, a dispetto di
crisi e cattive abitudini, l'italiano dimostra ovunque grande
disponibilità all'adozione. Ciò nonostante, movimentare gli animali è
pratica comune, lo asserisce Sara Turetta, attiva in Romania con il
progetto Save the Dogs e paladina delle adozioni internazionali, in una
lettera alla stampa in cui contesta una voce dissenziente: "Ci sono
tante persone serie, qui, che si occupano di cani, ma per tua sfortuna,
tutte ne mandano all'estero". Presidente da due anni della Lndc-Lega
nazionale per la difesa del cane, Piera Rosati ha invece commissariato o
chiuso con il suo Consiglio alcune sedi locali: "Abbiamo riscontrato
qualche gestione poco accorta e soprattutto c'era chi inviava animali in
adozione all'estero, una pratica a cui sono contrarissima. Per carità,
nessun dubbio sulla generosità straniera, ma tutto quanto non sia ben
verificabile costituisce un inaccettabile rischio per gli animali".
Una
volta varcata la frontiera cani e gatti sono irrintracciabili. Secondo
le associazioni che si dedicano al profluvio di adozioni all'estero
(Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Svezia) di cui sono oggetto i
nostri randagi e quelli di Grecia, Turchia, Spagna, Romania, le altre
cittadinanze sarebbero ricche e magnanime, pronte a fare incetta dei
nostri animali meno attraenti. Invece di salvare gli esemplari che nei
patri canili vengono soppressi, i cittadini svizzeri preferirebbero cani
pugliesi o siciliani malati, mutilati, paralizzati, coperti di rogna,
avidi di importare malattie endemiche a rischio di contagio umano come
la leishmania. Lo stesso varrebbe per i tedeschi, i quali non dispongono
di anagrafe canina unitaria e per adottare sborserebbero ingenti
contributi.
Ancor prima di partire i cani sono in offerta,
ciascuno abbinato a una tariffa che varia dai 150 ai 450 euro, su siti
stranieri, come pure negli appelli diramati da una cordata di
associazioni ramificata in tutta Europa. Queste lanciano appelli e
raccolgono in tutta Europa fondi sollecitati da immagini angosciose:
animali miserandi nei canili lager. L'unico, importante processo
scaturito da un'indagine sulle - appurate - false adozioni
all'estero langue in attesa di prescrizione presso il Tribunale di
Napoli. Questo, a dispetto della circolare 33 con cui già nel 1993 il
ministro per la Salute Maria Pia Garavaglia registrava con
preoccupazione l'irrintracciabile flusso di randagi in uscita dal nostro
Paese e, fra le altre cose, raccomandava di "non cedere cani conto
terzi, ma direttamente all'interessato". Il contrario di quanto
solitamente avviene, visto che tante associazioni si intestano gli
animali e poi li collocano presso strutture di transito donde
ripartiranno in seguito. Una piccola associazione pugliese, Occhi Randagi,
persegue un modello di trasparenza che finora non ha emuli in virtù del
paravento della privacy: pubblicano luogo di provenienza e città di
destinazione dell'animale, con il nome dell'adottante.
Quelle false associazioni che celano il business di MARGHERITA D'AMICO
ROMA -
Nella coscienza comune, per comprensibili ragioni, le associazioni
animaliste si distinguono meritevolmente da chi, sulla gestione dei
randagi, fa impresa. All'occorrenza, però, bisogna saper rovesciare la
medaglia e, di volta in volta, distinguere. Chiunque in definitiva, e
con estrema facilità, può costituirsi in associazione e avvalersi del
marchio di fabbrica, mentre cercare di far quadrare un bilancio
(affiancando di solito altre attività alla cura dei randagi, come
assistenza veterinaria o pensione per cani privati) non significa
necessariamente rifarsela sugli animali.
Partendo dal presupposto che i canili non dovrebbero esistere,
se non per accogliere transitoriamente animali destinati in famiglia o
custodire malati terminali, casi difficili, nello stato dei fatti la
valutazione dovrebbe basarsi su modi, criteri, qualità della gestione.
La normativa prospetta parametri sanitari per le strutture, ma non
obbliga alla presenza di educatori, né puntualizza con la debita
severità le prassi di affido e successiva rintracciabilità degli
animali.
Una vicenda paradigmatica ha luogo in Puglia, dove il
sequestro di canili indegni, in cui gli animali sono detenuti in
condizioni atroci se non maltrattati fino alla recisione delle corde
vocali, non fa quasi notizia. Capita pure, però, che la stigmatizzazione
si rivolga a strutture decentissime. È il caso I Giardini di Pluto
a Carovigno (Brindisi), canile-rifugio convenzionato con diversi comuni
della zona, contro cui nel 2013 un'indagine sollecitata
dall'associazione La Nuova Lara e seguita da un esposto della società
Dog Service si appunta sul sovraffollamento e sfocia in sequestro. I 730
cani ospiti superano il limite di 200 fissato dalla Legge regionale
pugliese del 2006, ma la struttura è stata autorizzata prima
dell'entrata in vigore della norma, che non agisce retrospettivamente. "L'associazione denunciante La Nuova Lara
si era già presentata giusto al fianco della Dog Service con un
contratto di avvalimento concesso a titolo oneroso nella gara d'appalto a
San Vito dei Normanni, per la custodia di randagi oggi affidati a I
Giardini di Pluto. Vendendo quindi a un privato il proprio requisito di
onlus, senza cui il medesimo non avrebbe potuto partecipare" dice
Michele Visone, presidente di Assocanili. "Non ci stupiamo poi se
rappresentanti di misconosciute associazioni risultano disoccupati e
invece si scoprono titolari di società immobiliari. A danno dei veri
volontari c'è un fiorire di associazioni falsamente animaliste".
Contro la tradotta forzata di 151 cani proprio
nel canile della Dog Service, non autorizzato ad accogliere randagi, si
sollevano proteste e un'interrogazione parlamentare che lasciano
indifferente il gip Maurizio Saso, caso non isolato di una magistratura
all'apparenza dimentica del benessere degli animali. È recente la
richiesta di archiviazione firmata dai sostituti procuratori Assunta
Musella e Alessia Minicò del fascicolo riguardante due strutture private
nel catanese, gestite da un veterinario con appalti milionari in
convenzione con molti comuni. Qui, secondo il report dell'Unità
operativa per la tutela degli animali, lotta a randagismo e
maltrattamenti del ministero della Salute, la cui ispezione portò al
sequestro dei canili (seguito da un rapido dissequestro), aggrediti da
malattie gli animali erano stipati in recinti fra feci, cibi avariati e
fango.
A volte, privati e associazioni decidono di unire le forze
per assicurarsi il successo. L'appalto di circa 94mila euro per i cani
del Comune di Collesalvetti (Livorno) è andato a un privato che si è
avvalso dei requisiti di un'associazione animalista "senza che si
tenesse conto della mancata presenza di un contratto fra le parti,
obbligatorio quando si ricorre all'avvalimento, pena esclusione dalla
gara". Lo scorso anno una volontaria siciliana, Elena Caligiore,
dichiarò a una tv locale i propri dubbi riguardo il proposito di
spostare decine di cani del siracusano in Emilia Romagna da parte
dell'Enpa-ente nazionale protezione animali, la più antica associazione
animalista italiana (la fondò Garibaldi): "La loro sezione locale ha
chiesto randagi anche ai comuni di Priolo, Floridia, Lentini. Propongono
di trasferirli al canile San Prospero di Modena, dove ne perderemmo le
tracce: perché? Il randagismo si risolve solo sterilizzando". Smentisce
secco Michele Gualano direttore generale dell'Enpa: "La circostanza non
risponde a verità"
D'altro canto è sempre più difficili operare
distinzioni di merito fra le associazioni, legate talvolta da intrecci
inaspettati. Come per esempio suggerisce la lettera di credenziali (di
cui esistono due copie diversamente datate, forse un uso disinvolto da
parte del beneficiario) con cui Carla Rocchi, presidente nazionale
dell'Enpa, garantisce l'affidabilità di un'associazione locale, già
contestata dal commissario prefettizio Aldo Lombardo, per la gestione
del canile di Manduria (Taranto) che è oggi in via di smantellamento. "Enpa
non promuove la gestione di terzi" commenta Gualano: "In alcuni casi
però sostieniamo, con l'obiettivo del miglioramento della gestione e del
benessere degli animali, la soluzione di situazioni critiche".
Se
per operare a tutto campo è utile appartenere a una categoria di
settore, c'è chi, per non sbagliare, le garanzie di qualità vede di
acquisirle tutte. E' ad esempio il caso del gestore di Dog's Town a
Pastorano, in provincia di Caserta: veterinario, guardia zoofila Enpa e
membro di Assocanili; oltre a gestire gli ospiti del canile-rifugo in
convenzione, accalappia per conto dei comuni e si occupa persino di
animali esotici, ma sul sito associativo i cani proposti in adozione si
contano sulle dita di una mano.
Appalti e omissioni, le colpe dei Comuni di MARGHERITA D'AMICO
ROMA - Per
la grande maggioranza degli amministratori italiani occuparsi del
randagismo è una scocciatura marginale, se non fosse che la tenerezza
dell'elettorato verso gli animali si fa sempre più intensa. Ma ancora, a
meno che sindaco o assessore delegato non siano sensibili e competenti
in prima persona - fenomeno raro - la questione viene sbolognata in
toto alle (spesso) incanaglite Asl, oppure gestita - a volte in buona
fede, altre, si direbbe, meno - affidando il destino degli animali a
interlocutori terzi.
A Roma, per dirne una, è in ballo il rinnovo
della gestione dei tre canili municipali (il quarto, un piccolo e
centralissimo presidio, è stato chiuso nel novembre scorso) affidata dal
1997 all'Associazione volontari canile Porta Portese,
che in circa vent'anni hanno sistemato in casa circa trentamila cani e
gatti. "Abbiamo partecipato a ben tre gare d'appalto e, non certo per
responsabilità dei partecipanti, nessuna è andata buon fine", spiega
Simona Novi, presidente di Avcpp: "l'ultima è stata addirittura sospesa a
causa della presenza della Cooperativa 29 Giugno, priva di qualsiasi
specifica competenza in materia di benessere animale e coinvolta nello
scandalo Mafia Capitale. In vista della quarta gara, ci auguriamo che la
giunta Marino prenda in considerazione l'unico parametro sensato e
previsto dalle normative vigenti: la capacità di fare adozioni
certificate, garantire il benessere degli ospiti e di trasformare i
canili in un semplice luogo di passaggio".
Parecchie
amministrazioni cercano di svuotare i canili non già incoraggiando
adozioni consapevoli, con l'eventuale offerta di visite veterinarie o
mangime gratuito per premiare l'accoglienza di cane o gatto nella realtà
domestica, ma proponendo denari a chiunque ritiri un animale.
Nell'aprile 2012 il comune di Oristano (Cagliari), a fronte del costo
annuo di 914 euro pubblici stanziati per il mantenimento di ogni cane
presso il Canile di Sandro Piras,
delibera di corrispondere "in favore dell'associazione firmataria
della convenzione un contributo una tantum di 450 euro per ciascun cane
di cui venga realizzata con successo l'adozione".
Se già appare
illogico e diseducativo corrispondere denari a casaccio a fronte
dell'animale sbolognato, è doppiamente assurdo pagare il mediatore. Una
cittadina racconta di aver telefonato alla suddetta associazione per
adottare un cane: "L'operatrice mi suggerì di non recarmi al canile in
prima persona. Disse che il gestore non gradiva gli ingressi al
pubblico, dunque se ne sarebbero incaricati loro. Mi chiesero di
compilare un questionario molto fitto, assieme a cui avrei dovuto
versare loro 50 euro". Somma che, in aggiunta all'una tantum comunale,
portava l'incasso dell'associazione a quota 500. "Gli stessi animali che
avevano messo in adozione erano pubblicizzati su Facebook, e si
chiedevano per loro donazioni in denaro. Mi domando quanto fruttasse
ogni singolo cane". "L'iniziativa non ha funzionato, si è spenta da
sola" dichiarano oggi dal Comune di Oristano: "Abbiamo in programma di
rilanciare altrimenti le adozioni".
Dalla loro, quegli
amministratori attenti al fenomeno randagismo non possono esimersi
dall'esprimere preoccupazione verso la generale confusione in cui si
pensa di affrontare il problema animali vaganti. Secondo Andrea Guido,
assessore all'Ambiente del Comune di Lecce con delega al randagismo, "si
sono innescati meccanismi perversi in un sistema costellato da
associazioni che appaiono concentrate più sugli appalti che sulla
ricerca del benessere degli animali, nella cui gestione si manca di
avviare azioni serie e concrete. Occorre maggiore attenzione
all'iscrizione delle associazioni nel relativo albo regionale, come pure
sulla delicata materia delle adozioni".
La virtù, in questo
ambito, non paga. Per essersi opposto all'imprudente e non conforme
adozione all'estero di un singolo cane all'estero, dopo aver ottenuto
soddisfazione dal Tar, il Comune di Terni si ritrova denunciato alla
Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti da una motivatissima
signora tedesca che a ogni costo vuole acquisire un animale malato di
epilessia e già adottato in Umbria.
Emergenza e randagismo,
oppure emergenza randagismo: la percezione di una situazione fuori
controllo non abbraccia solo la tutela degli animali, ma i più vari
interessi pubblici. Dispendio di denaro e risorse umane, pericoli (non
tanto nel merito degli occasionali branchi di cani che insieme
organizzano la sopravvivenza, quanto per gli incidenti stradali causati
da soggetti vaganti o abbandonati), sofferenza che dilania ogni specie a
partire dalla nostra, nelle persone dei volontari che spesso spendono
l'intera vita a tamponare tale, evitabile disastro. Malauguratamente, il
contenimento delle nascite non è praticato che a parole. Salvo luminose
eccezioni, al bisturi le Asl preferiscono l'ufficio, dove si timbrano
montagne di passaporti perché i cani possano sloggiare all'estero. Non
ci s'interessa neppure affinché i proprietari evitino le cucciolate e
gli allevatori soggiacciano a limiti. E quando ai comuni viene tesa una
mano da chi offra sterilizzazioni gratuite o a poco prezzo per tamponare
le pubbliche inadempienze, la risposta è quasi sempre no.
"Esistono
eccome gruppi di medici veterinari indipendenti e generosi, i quali si
propongono di intervenire con il solo rimborso dei materiali. Si possono
sterilizzare, se ben organizzati, anche cento animali al giorno. In un
paio di settimane si potrebbe arginare il randagismo in una città come
Bari" spiega il veterinario Antonio De Simone, il quale ha già
sterilizzato pro bono a Ventotene e in Puglia. "Ma ci si sente
rispondere no grazie, sia per non indispettire gli ordini professionali,
preoccupati della concorrenza e a volte in rapporti di collaborazione
con le Asl, che per logiche, chiamiamole così, di ordine burocratico".
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