(Importante articolo di Michele Lasala pubblicato su www.barlettanews.it)
Nel mondo della tutela animale, il difficile è comprendere quanto i retaggi culturali ci impediscano di rivalutare alcuni fenomeni, alla luce di improvvise e giustificate fioriture di diritti.
È il caso delle attenzioni intensificatesi, negli ultimi anni, su
problematiche come il generale maltrattamento animale. Nel mondo
normativo, tuttavia, la generalità condannata di comportamenti offensivi
ai danni di cani, gatti, o animali d’allevamento e non solo,
lascia spazio a fattispecie tecniche precise: una vera e propria maglia
legislativa dalla quale è sempre più difficile scappare, in caso di
commissione di illeciti.
Partiamo dall’articolo 544-ter del Codice Penale. L’attuale formulazione, innanzitutto, rivoluziona una concezione vetusta che vedeva nell’animale, specie in quello domestico, un “oggetto” di proprietà
di un soggetto. Gli effetti, ancora visibili, di questo retaggio, sono
attivi nell’articolo 638 del codice penale, che parlava appunto di
tutela in relazione alla violazione, commessa da terzi, sull’animale in
quanto “proprietà” patrimoniale del danneggiato. Il passo in avanti
compiuto, senza voler demonizzare l’art 638, è proprio nella
rubricazione dell’attuale articolo 544-ter e di altri, che parlano di “DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI”.
Il miglioramento legislativo è notevole: è infatti nobilitato l’insieme dei sentimenti d’affetto, attenzione e cura nei confronti della fauna, selvatica o domestica. Mentre il 544-ter si occupa direttamente del “Maltrattamento animale”, indicando come punti salienti per individuare la commissione del reato gli aspetti comportamentali della condotta, come “crudeltà” e “assenza di necessità”, il 544 bis parla senza mezze misure del reato di “Uccisione di animali”.
Le pene per gli illeciti in questione vanno, per il maltrattamento, da 3
a 18 mesi di reclusione e da 5000 a 30000 euro in caso il giudice
decida di sanzionare applicando una multa. Più grave, anche se
decisamente riformabile e aggravabile, la previsione della pena in caso
di uccisione: da 4 mesi a 2 anni di reclusione.L’attuale sistema legislativo di contrasto agli orrendi fenomeni
in questione prende le mosse da una Legge, la 189 del 2004, poi
aggiornata nel 2010. A queste norme fanno da corollario quelle, di
derivazione per lo più comunitaria e quindi stabilite dall’Unione Europea,
sull’utilizzo di animali per sperimentazioni farmaceutiche. A riguardo
citiamo, anche solo per individuare il tenore della norma, l’art. 5
comma 1 del decreto legislativo che ha recepito in Italia tale normativa
europea, nel lontano 1992: “Gli animali (…) siano tenuti in ambiente
che consente una certa libertà di movimento e fruiscano di alimentazione e cure adeguate
(…)”. “Siano effettuati controlli quotidiani per verificare le
condizioni fisiche in cui gli animali sono allevati”, il tutto a carico
di specialisti veterinari. Importante è specificare
che, in caso di tali violazioni, tra le autorità competenti figura anche
il Sindaco del comune nel cui territorio sono avvenuti i fatti
illeciti. Sottolineiamo, inoltre, che le sperimentazioni sugli animali
devono essere condotte evitando, per quanto sia possibile, di procurare
dolore e sofferenza agli stessi.
Attenzione poi alla “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la propria natura”: tali fattispecie vanno ad inquadrare, è importante specificarlo, anche il trattamento di quelle specie animali tradizionalmente destinate al consumo alimentare,
specie in periodi come quello pasquale e natalizio, nei quali le
necessità imperanti del consumo di massa accelerano, a danno di ignari
capi di bestiami, il peggioramento delle loro condizioni di vita.
Numerose sono, in questo senso, le sentenze di importanti organi
giudiziari come la Cassazione, che si rifanno all’art 727 del codice penale e alla parte di esso riguardante la “detenzione degli animali”.
Tornando all’articolo 544 del Codice
Penale, in realtà non effettivamente esistente perché abrogato, possiamo
far riferimento al 544 quater e 544 quinquies, esempi di norme
riguardanti fenomeni specifici ma sulla cui natura si discute con sempre
maggiore sdegno: parliamo infatti, rispettivamente, degli “spettacoli o manifestazioni vietate” e dei “combattimenti tra animali”.
Perfettamente inquadrabili nell’alveo del maltrattamento animale, i due
articoli puniscono con fermezza tali episodi. Nel primo caso abbiamo
una reclusione che va da 4 mesi a 2 anni (la stessa dell’uccisione) per
chi organizza tali eventi. Ancora più grave è la seconda ipotesi di cui
sopra, per la quale è prevista reclusione da 1 a 3 anni e una multa da
50000 a 160000 euro. Tra i comportamenti che configurano aumenti di
pena c’è il riprendere, con apparecchiature video atte a registrare, i combattimenti
tra animali. Reato di pari gravità è anche quello delle scommesse su
tali eventi, anche se chi le effettua non sia in concorso con gli
organizzatori e non abbia contribuito ad organizzare queste terribili
competizioni.
Riportando i dati forniti da AIDAA (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente), in Italia ogni anno sono torturati e uccisi circa 15000 esemplari di cani e gatti,
e i numeri di questo scellerato e ingiustificato orrore crescerebbero
notevolmente se si prendessero in considerazione i maltrattamenti
animali nello loro interezza. L’onorevole Michela Brambilla,
sempre attenta a queste tematiche, ha recentemente ribadito come sia
indispensabile favorire l’inasprimento delle pene e la applicazione
delle stesse, prevedendo il carcere per “chi maltratta gli animali e li
uccide senza necessità”.
Un sistema senza dubbio complesso, ma
anche capillare, che necessita di miglioramenti in quanto a reperibilità
delle norme e coordinamento delle stesse a livello giudiziale, ma
comunque sintomo di una coscienza diversa, evolutasi specie negli ultimi
tre decenni.
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