Per far scattare il reato di maltrattamento di animali non è necessario
che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la
sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti psichichici.
È quanto ha deciso la Cassazione Penale, con una sentenza – la
n.10009/17 del 01.03.2017 – destinata ad aprire una nuova e più ampia
prospettiva di tutela degli animali, considerati come
esseri dotati di una loro sensibilità interiore e, per questo,
meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, anche in
assenza di un patimento fisico.
Già con una precedente sentenza – la n.52031 del 07/12/2016 – la
Cassazione aveva ritenuto che il reato di maltrattamenti di animali si
configura non soltanto per i comportamenti che offendono il comune
sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per
la loro aperta crudeltà ma anche per le condotte che incidono sulla
sensibilità dell’animale, ovvero quei “comportamenti colposi di
abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica degli
animali quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli
del dolore come alle attenzioni amorevoli dell’uomo”.
In questo caso dalla Suprema Corte è stata riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 727 del cod. pen una donna che aveva rinchiuso dei gatti selvatici in uno spazio ristretto, provocando loro forte stress e fobie di vario tipo.
Gli animali erano apparentemente in salute e non avevano riportato lesioni fisiche, ma è stata accertata a loro carico una vera e propria condizione di “alterazione psichica” causata proprio dall’ambiente limitato in cui erano stati costretti a vivere, ritenuto contrario alla loro natura.
Il reato di abbandono di animali – chiarisce la Suprema Corte – punisce chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, determinandone «gravi sofferenze» non solo fisiche ma anche psichiche.
Custodire un animale in una stanza stretta, infatti, costituisce una costrizione contraria alla natura dell’animale stesso, integrando così il reato di cui all’art. 727 del cod. pen., che punisce la condotta del responsabile con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da mille a 10mila euro.
Per far scattare il reato di abbandono di animali – ed è questo l’elemento innovativo della recente sentenza – «non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso».
Non c’è bisogno di procurare agli animali un vero e proprio danno alla salute intesa in senso fisico e materiale, ma è sufficiente anche arrecare loro un forte disagio, rendendoli ad esempio “fobici” e “stressati”.
In questo caso dalla Suprema Corte è stata riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 727 del cod. pen una donna che aveva rinchiuso dei gatti selvatici in uno spazio ristretto, provocando loro forte stress e fobie di vario tipo.
Gli animali erano apparentemente in salute e non avevano riportato lesioni fisiche, ma è stata accertata a loro carico una vera e propria condizione di “alterazione psichica” causata proprio dall’ambiente limitato in cui erano stati costretti a vivere, ritenuto contrario alla loro natura.
Il reato di abbandono di animali – chiarisce la Suprema Corte – punisce chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, determinandone «gravi sofferenze» non solo fisiche ma anche psichiche.
Custodire un animale in una stanza stretta, infatti, costituisce una costrizione contraria alla natura dell’animale stesso, integrando così il reato di cui all’art. 727 del cod. pen., che punisce la condotta del responsabile con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da mille a 10mila euro.
Per far scattare il reato di abbandono di animali – ed è questo l’elemento innovativo della recente sentenza – «non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso».
Non c’è bisogno di procurare agli animali un vero e proprio danno alla salute intesa in senso fisico e materiale, ma è sufficiente anche arrecare loro un forte disagio, rendendoli ad esempio “fobici” e “stressati”.
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