Acquisti un cane? Se è malato hai diritto al rimborso



L’amore per il nostro migliore amico non ha prezzo. Ma se è “difettoso” possiamo chiedere i soldi indietro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione pronunciandosi a favore del padrone di un Pinscher che undici mesi dopo aver comprato il cane ha constatato che il suo nuovo amico a quattro zampe era affetto da una grave cardiopatia congenita.

E ha chiesto, quindi, la restituzione della somma e il risarcimento del danno alla proprietaria del negozio di animali. Ma se il Giudice di Pace e il Tribunale hanno respinto le pretese del padrone del cane perché troppo tardive, la Cassazione gli ha dato infine ragione ritenendo irrilevante che la denuncia del vizio fosse stata ufficializzata oltre il “termine decadenziale di otto giorni” previsto dal Codice Civile. Gli “ermellini” hanno chiarito  infatti che in questo caso va applicato il Codice del consumo, laddove esso “stabilisce che il consumatore – l’acquirente - decade dalla garanzia per i vizi della cosa venduta, se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto”. (Cassazione, sentenza numero 22728, sezione seconda civile).

Nel contestare la decisione del Giudice di pace e del tribunale, l’avvocato del padrone del cane ha sostenuto che “l’animale d’affezione va ricompreso nell’ampia nozione di ‘bene di consumo’” e che “l’acquirente di un tale animale deve qualificarsi ‘consumatore’ ove l’acquisto non sia collegato”, proprio come in questo caso, “all’esercizio di attività imprenditoriale o professionale”. Di conseguenza, sempre secondo l’avvocato, deve trovare piena applicazione il Codice del consumo che prevede un tempo di due mesi per denunciare il vizio.

Una linea che ha convinto i giudici della Cassazione, secondo i quali “la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d’affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, vada qualificata a tutti gli effetti ‘consumatore’” e che, quindi, “vada qualificato ‘venditore’, ai sensi del Codice del consumo, chi nell’esercizio del commercio o di altra attività imprenditoriale venda un animale da compagnia”. E, seguendo questa linea di pensiero, proprio l’animale, “quale ‘cosa mobile’ in senso giuridico”, costituisce “‘bene di consumo’”

Per dare sostanza a questa interpretazione, i giudici del ‘Palazzaccio’ ricordano nella sentenza che “nel campo dell’esperienza giuridica vanno considerati come ‘cose’ anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo: non solo i vegetali, ma anche gli animali”. Senza dimenticare, poi, che “l’uomo ha sempre manifestato verso gli animali, in quanto esseri senzienti, un senso di pietà e di protezione, quando non anche di affetto”.

 (Fonte: repubblica.it)

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