In sede di
approvazione del testo normativo, è stato scelto il termine
"domestico" ad altre indicazioni (da compagnia), con l'intento (forse)
di evitare l'ingresso di animali esotici negli alloggi in condominio.
L'animale
domestico, a cui si riferisce la norma, non coincide con l'animale da
compagnia, ma ha una portata più ristretta.
La scelta
lessicale è stata dettata dalla volontà di comprendere unicamente quegli
animali che nel comune sentire sono avvertiti come domestici.
Sono tali:
il cane, il gatto, gli uccellini da gabbia, i criceti, i pesci da acquario; per
contro, dovrebbero escludersi gli animali non convenzionali.
Ora si parla
solo di animali domestici, con ciò vietando, ad esempio, la detenzione di
serpenti, iguane (salvo specifiche autorizzazioni).
Si pensava
che con questa precisazione terminologica sarebbero cessati gli equivoci;così
non è stato.
Difatti, a
detta della Società Italiana Veterinari Animali Esotici (Sivae) «il
legislatore ha perso l'occasione per adottare una definizione scientificamente
esatta e giuridicamente sostenibile.
Utilizzando
l'impropria definizione di "animali domestici", il condominio dice sì
al maiale (che è domestico) in salotto e no al criceto (che non lo è)». La confusione interpretativa è
stata provocata dal fatto che non esiste una definizione legislativa che
definisca concretamente l'animale domestico.
Animali
esotici non convenzionali. Secondo il parere dei veterinari, esiste una differenza tra animali
esotici e animali non convenzionali, spesso considerati appartenenti alla
stessa categoria.
La
differenza principale riguarda la provenienza dell'animale: Pappagalli,
rettili, il riccio africano, sono da considerarsi animali esotici perché
non autoctoni del territorio italiano.
Gli animali
non convenzionali, invece, sono autoctoni ma sono considerati non domestici
in quanto non esiste ancora una competenza diffusa per curare e gestire questi
animali in ambito veterinario: sono dunque necessarie delle competenze e
specializzazioni specifiche; il coniglio ad esempio, così come alcune specie di
tartarughe, sebbene siano sempre più presenti nelle nostre case come animali da
compagnia, appartengono alla categoria dei non Convenzionali.
Secondo
altri studi, il termine esotico viene in effetti correttamente applicato a
specie non autoctone dell'Italia, come pappagalli, per fare un esempio, ma
comprende anche specie, come appunto il coniglio, che non rientrano nella
definizione classica di animale da compagnia, come sono per tradizione il cane
e il gatto.
Il suo
impiego è poi rafforzato dalla medicina veterinaria anglosassone, in cui anche coniglio
e furetto sono veramente "esotici", in quanto effettivamente non
autoctoni.
Tutti questi
animali "non convenzionali" nei testi di medicina veterinaria vengono
comunemente definiti exoticanimals.
In
particolare, il ddl n. 30 si occupa dei conigli a cui, in considerazione della
sua presenza nelle case degli italiani, occorre riconoscere lo status di
animale da affezione.
In tale
proposta si legge che il coniglio, dopo il cane e il gatto, risulta essere
l'animale più diffuso nelle case degli italiani.
A differenza
del cane e del gatto, però, il suo status di animale di affezione non è
riconosciuto dalla legge, nonostante il legame affettivo tra l'animale e le
persone che se ne prendono cura e le indubbie sensibilità e capacità di provare
sentimenti, caratteristiche anche di questa specie. La presente proposta prevede all'articolo 2,
comma 1, come diretta conseguenza del riconoscimento dei conigli quali animali
di affezione, il divieto di: macellazione; importarli e di esportarli a tale
fine, di vendere e di consumare le loro carni nel territorio nazionale;
commercializzare le loro pelli e pellicce.
Tale ultimo
divieto consentirebbe di porre fine alla mattanza di conigli perpetrata per la
produzione di pellicce o di capi di abbigliamento e accessori di ogni genere.
L'articolo 3
reca il regime sanzionatorio stabilendo che chiunque allevi, esporti, importi,
sfrutti economicamente o detenga,trasporti, ceda o riceva a qualunque titolo
conigli al fine della macellazione, o commercializzi le loro carni sia punito
con la reclusione da quattro mesi a due anni e con l'ammenda da 1.000 a
5.000 euro per ciascun animale.
Conformemente
a quanto già disposto dalla legge 20 luglio 2004, n. 189, recante disposizioni
concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli
stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, con
riferimento alla commercializzazione delle pelli e pellicce di cani, gatti e
foche, è disposto inoltre che chiunque produca, commercializzi, esporti o
introduca nel territorio nazionale a qualunque titolo prodotti derivati dalla
pelle o dalla pelliccia di coniglio sia punito con l'arresto da tre mesi a un
anno o con l'ammenda da 5.000 a100.000 euro.
(Fonte: www.condominioweb.com )
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