beagle di Green Hill |
“L’uomo ha sempre manifestato verso gli animali, in quanto essere
senzienti, un senso di pietà e di protezione, quando non anche di
affetto. Da qui l’esistenza, in tutte le epoche storiche, di precetti
giuridici, essenzialmente di natura pubblicistica, posti a salvaguardia e a tutela degli animali… fino alle legge 20 luglio 2004, n.189 ...configurando a tutela degli animali una apposita serie di delitti in luogo delle precedenti contravvenzioni”.
E’ questo il cuore della sentenza 40438 che la suprema Corte di Cassazione
ha emesso, ai primi di luglio e pubblicata il 2 ottobre, per annullare
la condanna di alcuni animalisti, 12 su 13 attivisti intervenuti, che a
fine aprile del 2012 avevano sottratto 67 beagle dall'allevamento della Green Hill nella provincia di Brescia.
Un caso finito su tutti i telegiornali, quando durante un corteo a
Montichiari alcuni dimostranti riuscirono ad accedere ad un allevamento
definito un vero e proprio "lager" e portarono in salvo i cani. Solo il
18 luglio successivo i beagle furono posti sotto sequestro probatorio,
nominandone la LAV (Lega Antivivisezione) e Legambiente custodi
giudiziari.
L'allevamento, infatti, destinava gli animali alla sperimentazione e
ai laboratori di vivisezione. Nel 2016 la multinazionale americana
Marshall, proprietaria di Green Hill, l’allevamento di beagle, vendette
la struttura e abbandonò l’Italia. Nel 2016 la Corte di Appello di
Brescia confermò il verdetto di primo grado contro tre dipendenti
dell’allevamento, originariamente accusati di crudeltà contro gli animali sotto la loro custodia e di uccisione non giustificata di alcuni di questi, accuse tramutatesi in condanne.
Ma gli animalisti, intervenuti per sottrarre gli animali, erano sono stati a loro volta condannati in appello per aver “rubato” e non “liberato” gli animali. In primo grado erano stati assolti.
Ora la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, si è pronunciata contro la decisione di condanna degli attivisti.
I giudici dell’appello avrebbero in qualche modo equiparato la
“liberazione” dei beagle al furto in abitazione, contestando ai suddetti
il reato dell'art. 624-bis del codice penale.
Gli Ermellini hanno annullato il provvedimento con rinvio pur
affermando l'astratta configurabilità del delitto di furto avente ad
oggetto cani. Tuttavia, secondo i giudici ricorrono gli estremi del
contestato reato. Non si comprende infatti quale vantaggio abbiano potuto trarne gli attivisti,
quale fine diretto e immediato dell'azione, sia pure con l'intento di
ottenere per tale via il soddisfacimento di un bisogno ulteriore anche
solo di ordine spirituale o morale. Oltretutto non è vi sarebbe prova
della premeditazione dell’azione, avutasi durante il corteo.
In soldoni nella sentenza di appello manca la spiegazione di quale
sarebbe il vantaggio contratto dagli attivisti. Di conseguenza, spiega
la Cassazione, se l'utilità perseguita dall'autore del furto deve essere
connessa alla cosa oggetto dell'impossessamento e non all'azione in sé,
non è comprensibile quale sia se si esclude vi possa essere un dolo nel liberare gli animali che sono stati sottoposti a maltrattamenti. Per questo motivo la Corte annulla la sentenza e la rimette ad una nuova decisione della Corte d’appello.
Ma la questione resta sensibile e scivolosa. Certo è che non si
possono maltrattare gli animale, azione che oltre ad essere ignobile è
da tempo anche chiaramente sanzionabile e non con una contravvenzione ma
con una azione penale. Ma chi decide quando vi è maltrattamento
e quando no? Un giudice e molto probabilmente a cose fatte, se vi è la
sottrazione dell’animale. Per tanto la sentenza riesce ad
essere un precedente importante quando gli animali vengono davvero
maltrattati ma potrebbe anche essere una leva pericolosa per chi volesse
usarla strumentalmente per altri fini.
(Fonte: http://www.affaritaliani.it)
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