Dopo le prime sentenze del 2014, è finalmente entrato in vigore il
divieto del sacrificio di animali in tutti i templi di Tripura, uno
stato nel nord-est dell'India. A decretarlo è stata l'Alta Corte
di Agartala, con un verdetto animalista in risposta al «contenzioso di
interesse pubblico» presentato da Subhash Bhattacharjee, un giudice
ormai in pensione che già si era pronunciato contro questa pratica
induista.
Il sacrificio animale nell'induismo è associato allo
Shaktismo e alle usanze folcloristiche e popolari delle tribù locali. I
sacrifici si svolgono nei templi di tutta l'India nonostante le
scritture indù - come la Bhagavadgītā e i Purāṇa - proibiscano questa
crudele pratica.
Gli animali più scelti come tributo sono le
capre e gli elefanti. Migliaia di animali vengono sacrificati ogni anno
in nome della religione. E molte corti locali in questi ultimi anni si
sono espresse contro il sacrificio animale, richiedendo la
collaborazione della polizia per monitorare e bloccare qualsiasi
infrazione: «Non si può permettere che vengano sacrificati per placare
un dio o una divinità in un modo così barbaro», avevano scritto i
giudici. Ma ancora non era bastato.
Ora
l'Alta corte di Tripura ha ordinato il divieto assoluto in tutto lo
Stato, definendo il sacrificio di animali «una pratica di crudeltà
contro gli animali». Ma non tutte le reazioni sono state positive.
Il
rampollo reale di Tripura Pradyot Kishore Manikya Debbarman, che si è
dichiarato amante degli animali, ha accolto con favore la sentenza ma ha
anche constatato che così l'Alta Corte ha annullato un accordo del 15
ottobre 1949 senza il permesso di farlo: ad averne i poteri è infatti
solo il Parlamento. Il che sottolinea la necessità di una legge in
merito, nonché la non correttezza a non vietare il sacrificio degli
animali in assoluto. La sentenza, infatti, si ferma ai riti nei templi
induisti ma non contempla ad esempio quelli musulmani che si svolgono al
termine del ramadan, creando così una impasse.
(Fonte: ilsecoloxix.it )
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