Aliene e invasive: piante e animali che danneggiano la diversità

Introdotte appositamente per essere allevate o coltivate. Oppure importate per caso: trasportate nelle acque di zavorra, attaccate alla chiglia di una nave, nella stiva di un aereo o in una valigia. Alcune di loro, però, sono diventate “invasive”: una vera e propria piaga, anche e soprattutto economica. Negli ultimi cinquant’anni infatti le specie aliene invasive ci sarebbero costate ben 1.288 trilioni di dollari, secondo un recente paper pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, guidato dagli scienziati del centro di Écologie, Systématique et Évolution del CNRS francese. E il costo di queste “invasioni biologiche” in tutto il mondo è sempre più alto.

Non stiamo parlando di alieni invasori alla Man in Black. Ma di “specie della porta accanto”, o meglio del “continente accanto”. Specie vegetali e animali che hanno valicato i confini del loro areale naturale per mano dell’uomo e sono state catapultate altrove, in posti dove storicamente non erano presenti. Sono le cosiddette specie “aliene” o “alloctone”, che dir si voglia. Ma alcune di loro, sbarcate nei nuovi ambienti, si sono trovate talmente bene da stabilizzarsi e diventare “invasive”. Cioè hanno iniziato a riprodursi e proliferare, formando popolazioni stabili che si sono estese sul territorio, provocando una serie di sconquassi nell’ecosistema. 

Le specie aliene invasive sono considerate la seconda principale minaccia per la biodiversità a livello mondiale (dopo la distruzione dell’habitat). In particolare sulle isole, che hanno equilibri naturali delicatissimi, sono state il fattore chiave nel 54% dei casi di estinzione verificatisi fino a oggi. Queste specie, infatti, possono essere portatrici di patogeni letali per le specie autoctone, o più banalmente possono sottrarre risorse trofiche o inserirsi nella catena alimentare come super predatori. O ancora modificare l’ambiente circostante. Oltre alla perdita di biodiversità e agli impatti ecologici derivanti dalla loro presenza, questi invasori biologici possono provocare ingenti perdite economiche in settori come agricoltura, pesca, turismo e persino salute pubblica. Insomma, sono una vera catastrofe, tanto che si sono guadagnate un acronimo: IAS, Invasive Alien Species.

Per fortuna non capita spessissimo che una specie aliena diventi invasiva. Secondo le stime più recenti, su 100 specie aliene introdotte, tra le 5 e le 15 riescono a stabilizzarsi con successo e, tra queste, almeno una può diventare “invasiva”. Va da se, però, che se in Europa oggi circolano 12.000 specie aliene (solo in Italia sono 3000) il rischio di trovarsi a dover fronteggiare decine di specie invasive è concreto. E il loro impatto sull’ambiente e sull’economia è tutt’altro che risibile.

Giacinti e scoiattoli, per esempio

Per esempio? Il giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes), importato in Europa dall’America meridionale per scopi ornamentali, è riuscito a diffondersi in molti corsi d’acqua. Qui forma un tappeto vegetativo galleggiante e impenetrabile sulla superficie del corso d’acqua: così facendo non solo soffoca gli ecosistemi acquatici provocando la morte di gran parte della fauna fluviale, ma di fatto rende impraticabile sia la pesca che la navigazione. E oggi, la sua rimozione costa all’Europa circa 8 milioni di euro all’anno. O ancora, l’Ambrosia artemisiifolia, una pianta nordamericana con forti potenzialità allergeniche, produce moltissimo polline e ogni anno, tra riniti, crisi asmatiche e pollinosi, il suo costo sanitario in tutt’Europa ammonta a 7,4 milioni di euro.

Tra gli animali, invece, troviamo lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) che dal 1948 “bullizza” il nostrano scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris) ed è portatore di un virus letale per il nostro roditore. Oggi lo scoiattolo grigio ha conquistato buona parte del Nord Italia, ma i suoi effetti nefasti sono evidenti soprattutto nel Regno Unito, dove sono rimasti circa 250.000 scoiattoli rossi, per lo più confinati in Scozia. La gestione dello scoiattolo grigio costa all’Europa più di un milione e mezzo di euro all’anno. 

 

Un database per stimare i costi

Così il team internazionale di ricercatori guidato da Christophe Diagne e Franck Courchamp ha provato a calcolare quanto ci costano questi invasori su scala globale. Nella loro review pubblicata su Nature hanno analizzato 850 studi singoli, che riportavano in tutto 2.419 stime di costi di gestione delle specie aliene e dei danni da loro arrecati. Il team ha poi standardizzato tutte le stime in base a quaranta variabili, tra cui specie, regione, habitat e settore economico, in modo da riuscire a confrontare i dati. E parallelamente ha sviluppato il database InvaCost, che offre un’istantanea in tempo reale dei costi associati alle invasioni biologiche.

Il risultato? Dal 1970 al 2017, in circa cinque decenni, le specie aliene invasive (IAS) ci sono costate 1.288 trilioni di dollari. In media 26,8 miliardi di dollari all’anno, ma in realtà il conto annuale triplica ogni decennio. Solo nel 2017 queste invasioni biologiche ci sono costate, globalmente, 162,7 miliardi di dollari: ovvero 20 volte i bilanci combinati dell’OMS e del Segretariato delle Nazioni Unite dello stesso anno. 

Cifre da capogiro, eppure i costi delle invasioni biologiche rimangono ampiamente sottostimati. Anzi, all’orizzonte non si intravede nessuna inversione di tendenza, poiché la continua espansione del commercio e dei trasporti internazionali facilita la diffusione di specie aliene e potenzialmente invasive, o lo spostamento di specie già decretate “invasive”: dalla zanzara tigre alla cozza zebrata, passando per il giacinto d’acqua.

Ma soprattutto, al di fuori degli addetti ai lavori, sono in pochi a conoscere il problema e i costi correlati. Costi che paghiamo tutti, chi in modo indiretto e chi in modo diretto perché ne fa esperienza magari per allergie, o perché lavora nel comparto agricolo, nella filiera della pesca o nel turismo.

 

E il fatto è che senza l’aiuto di tutti il problema delle invasioni biologiche è irrisolvibile. 

Vanno spiegati i motivi, le ragioni più che valide per cui, per esempio, non bisogna acquistare, né tantomeno liberare in natura specie esotiche. Un esempio sono le famose “tartarughine d’acqua” americane, diffusissime negli anni Ottanta e Novanta negli acquari casalinghi e poi liberate dai proprietari in laghi e stagni, una volta diventate troppo grandi. Ecco, le Trachemis scripta – questo il loro nome scientifico – sono una delle 100 specie aliene invasive più temute, e il suo arrivo ha creato grossi problemi alla nostrana testuggine palustre europea (Emys orbicularis). O ancora i famosi pappagallini verdi, i parrochetti, che si vedono in moltissime città italiane ed europee. Questi non sono però gli unici uccelli alieni presenti in Italia e in Europa, e per questo c’è chi chiede una mano proprio ai cittadini per censire le specie alloctone di uccelli e valutare il loro impatto. Ed è il neonato progetto dell’università di Evora IBIS – Introduced Bird Interaction Suvery: sul sito (anche in italiano) si trovano tutte le informazioni per scoprire le specie aliene di uccelli e per partecipare basta inviare una segnalazione.

A fare corretta informazione sul tema delle invasioni biologiche in Italia, da qualche anno, ci sta pensando il progetto Life ASAP – Fermiamo le specie aliene invasive che ha elaborato anche un comodo decalogo con i comportamenti da seguire quando si viaggia, o se si è appassionati di giardinaggio, di pesca sportiva e così via. La prima mossa perciò è portare alla ribalta il problema, istruire i cittadini e fare prevenzione, per non comprare, importare e liberare nuove specie aliene e non spostare ulteriormente quelle già bollate come “IAS”. È una battaglia che si può vincere? Forse vale la pena almeno provarci.

(Fonte:  https://ilbolive.unipd.it/it/news/aliene-invasive-piante-animali-che-danneggiano)



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