Australia, chiuso il più grande fornitore di animali da laboratorio




Il più grande fornitore australiano di topi e cavie per la ricerca biomedica, l'Animal Resources Centre (ARC), ha annunciato la scorsa settimana che prevede di chiudere le attività entro i prossimi 18 mesi, una decisione che si ripercuoterà con un impatto significativo sulla ricerca biomedica nel paese. Questo l'argomento chiave di un approfondimento della prestigiosa rivista Nature. L’Arc è una struttura di allevamento a Perth, nell'Australia occidentale, con un fatturato annuo di circa otto milioni di dollari australiani, pari a poco più di cinque milioni di euro, e conta circa 60 dipendenti.
«La chiusura dell'Animal Resources Centre - dichiara Malcolm France, un consulente veterinario con sede a Sydney ed ex presidente dell'Associazione degli animali da laboratorio australiana e neozelandese - rappresenta un duro colpo per la ricerca biomedica e lascerà un enorme vuoto nella fornitura di animali a molte università e istituti di ricerca medica».
L'Arc rappresenta l'unico grande punto di riferimento per le 43 università australiane, per gli oltre 50 istituti di ricerca medica e le altre organizzazioni governative e di ricerca commerciale. Lo scorso 2 luglio, l'Arc ha inviato una mail ai suoi clienti comunicando che le forniture si esauriranno entro dicembre 2022. Nel messaggio di posta elettronica, Kirsty Moynihan, amministratore delegato del centro, spiega che la decisione è stata presa perché la struttura non è stata in grado «di operare in modo finanziariamente autosufficiente».
L'Arc è gestito da un ente del governo statale dell'Australia occidentale. «L'Arc non è economicamente sostenibile - spiega un portavoce del Ministro della salute a Nature - il centro era stato originariamente destinato a fornire animali da laboratorio come modelli di malattia agli istituti di ricerca nell'Australia occidentale, ma attualmente solo il 16 per cento degli animali venduti resta nello stato, la maggior parte delle cavie raggiunge i mercati interstatali».
Il costo della creazione di una nuova struttura appositamente costruita per l'allevamento di animali da ricerca non è considerato commercialmente fattibile - prosegue France - ma questa motivazione non tiene conto dell'impatto che la chiusura del centro provocherà sulle istituzioni dell'Australia occidentale».
«La chiusura dell'ARC avrà importanti implicazioni per lo sforzo di ricerca medica in Australia - afferma Duncan Ivison, vicedirettore per la ricerca presso l'Università di Sydney - i modelli animali sono fondamentali per la nostra comprensione dei processi patologici e per lo sviluppo di nuovi interventi medici».
Sulle possibili strategie di risposta alla chiusura del centro, i ricercatori sono poco fiduciosi. L'importazione degli animali, infatti, richiederà un costo più elevato, a causa delle regole di quarantena, e sarà più stressante per gli animali. Le singole università potrebbero allevare le cavie, ma non tutte le strutture possono contare su spazi adeguati.
«Dobbiamo trovare una soluzione a livello nazionale - commenta Michelle Haber, direttrice esecutiva del Children's Cancer Institute di Sydney - anche se gli elevati standard di controllo qualità dell'Arc saranno difficili da replicare in molte realtà. Speriamo di riuscire ad affrontare il problema prima della chiusura del centro».
Il prof. associato Brett Lidbury, consulente scientifico di Humane Research Australia e ricercatore di malattie infettive, ha affermato di non utilizzare più animali nella ricerca. Non solo l'alto tasso di mortalità degli animali e l'etica dell'uso di animali lo preoccupano, ma ha affermato che i risultati sugli animali di solito non erano nemmeno scientificamente utili: «I modelli animali sono inefficaci per il 90-95% nel prevedere le malattie umane – ha affermato – . Le prove schiaccianti suggeriscono che i modelli animali non sono in alcun modo il modo migliore per studiare le malattie umane».
Secondo Animals Australia, più di sei milioni di animali vengono utilizzati ogni anno nella ricerca e nell'insegnamento in Australia e Nuova Zelanda e molti di questi subiscono un certo grado di dolore o stress a causa degli esperimenti per cui vengono utilizzati o a causa degli ambienti in cui sono tenuti.

(Fonte: lastampa.it)


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