Le specie animali e vegetali spariscono a un ritmo 1.000 volte superiore al tasso naturale




Dal rinoceronte bianco settentrionale, dichiarato estinto nel 2018 con l’ultimo esemplare in cattività e ben prima quelli in natura per colpa dei bracconieri, alla tigre di Giava, scomparsa nel ’79, quante specie si sono estinte – negli ultimi due secoli – a causa dell’uomo? Siamo nel pieno della sesta estinzione di massa, con un tasso di estinzione di specie animali e vegetali 1.000 volte superiore a quello naturale.

È quanto emerge dal nuovo report del WWF “Estinzioni: non mandiamo il pianeta in rosso”, che mette in evidenza i dati forniti dagli esperti: il più importante fattore di perdita della biodiversità sui sistemi terrestri è stato ed è tuttora il cambiamento dell’uso dei suoli, a partire dalla conversione degli habitat primari, come le foreste primigenie, trasformate in terreni per la produzione agricola.

Il report

Tra il 1970 e il 2016, il 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subito un forte declino. Non solo cambiamento dell’uso dei suoli, ma anche pesca eccessiva negli oceani le cause principali, cui si aggiungeranno sempre più nel futuro anche gli impatti del cambiamento climatico con fenomeni sempre più devastanti, a partire dagli incendi.

L’estinzione genera poi estinzione poiché la perdita di una specie causa un effetto “domino” che favorisce la scomparsa di altre – dicono da WWF. La pandemia di coronavirus ci ha fatto capire i tanti pericoli legati alla distruzione degli habitat naturali da parte dell’uomo. Interferire e distruggere gli equilibri degli ecosistemi naturali depredando gli habitat provoca nuove emergenze, non solo sanitarie. L’aumento inarrestabile della popolazione umana, la distruzione degli habitat naturali, la deforestazione, il traffico e il commercio di fauna selvatica, gli allevamenti intensivi, l’inquinamento e la crisi climatica sono tutte problematiche in relazione tra loro.
La IUCN ha accertato di fatto l’estinzione di almeno 160 specie nell’ultimo decennio. Questo numero, seppure elevato, rappresenta probabilmente una sottostima, sia per la difficoltà di ricerca sia per la poca conoscenza riguardo alcuni taxa, considerati “minori” (in primis tra gli invertebrati).

Le cause e i fattori che portano le specie prima alla rarefazione poi all’estinzione in questo drammatico momento storico sono numerose e in tutte c’è purtroppo la mano dell’uomo: a partire dalla rivoluzione industriale, le attività umane hanno distrutto e degradato sempre più foreste, praterie, zone umide e altri importanti ecosistemi, minacciando il benessere umano. Il 75% della superficie terrestre non coperta da ghiaccio è già stata significativamente alterata, la maggior parte degli oceani è inquinata e più dell’85% della superficie delle zone umide è andata perduta.
Gli animali simbolo del “conto in rosso” del Pianeta

Il simbolo di quanto la natura più remota e selvaggia sia stata raggiunta dagli effetti della nostra insostenibilità, a partire dal cambiamento climatico globale, è proprio l’orso polare (Ursus maritimus), il cui habitat è compromesso al punto che se i trend di fusione delle calotte polari e la scomparsa di ambiente idoneo per spostarsi e procacciarsi il cibo proseguiranno come negli ultimi decenni, in soli 35 anni rischiamo di perdere fino al 30% della popolazione di orso polare.

Il cambiamento climatico colpisce quasi la metà (47%) dei mammiferi terrestri a rischio di estinzione, esclusi i pipistrelli, e un quarto (23%) degli uccelli a rischio potrebbero essere già essere stati influenzati negativamente dal cambiamento climatico, almeno in parte del loro areale. Fra gli effetti disastrosi del cambiamento climatico c’è anche l’intensificarsi degli incendi in varie parti del mondo: il fuoco corre veloce tra le foreste e le savane e gli animali più lenti ne fanno le spese. È il caso del koala (Phascolarctos cinereus) simbolo della fauna australiana, ora in declino nell’Australia orientale.

Un altro segnale che sta impattando sulla nostra sopravvivenza è la scomparsa degli impollinatori, vittime dei pesticidi e altri veleni usati in agricoltura: farfalle, api, bombi e altri insetti sono fondamentali per la produzione di cibo a livello globale. Quasi il 90% delle piante selvatiche che fioriscono e oltre il 75% delle principali colture agrarie esistenti necessitano dell’impollinazione animale per riprodursi. Secondo la IUCN, più del 40% delle specie di impollinatori invertebrati rischiano di scomparire. In Europa quasi la metà delle specie di insetti è in grave declino. Il 37% delle popolazioni di api e il 31% delle popolazioni delle farfalle presentano trend negativi.

La mano dell’uomo si spinge fino all’estremo, mettendo in atto veri e propri crimini di natura come il bracconaggio: vittima simbolo di questa piaga è la tigre (Panthera tigris), cacciata per alimentare uno dei fenomeni più difficili da sradicare perché molto redditizio, il commercio illegale di animali o parti di essi. E infine ci sono l’elefante di savana (Loxodonta africana) e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis), entrambe le specie nel 2021 sono state per la prima volta incluse nelle categorie di rischio più elevato della lista rossa della IUCN, ricorda il WWF, lanciando la campagna “A Natale mettici il cuore”.

Fonte: Greenme

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