Peluche al posto dei neonati per studiare l'attaccamento materno nelle scimmie, la ricerca che scatena le polemiche


Una parte del mondo scientifico si è ribellato alla ricerca della Harvard University e ha scritto una lettera inviata a PNAS, la rivista che lo ha pubblicato, dichiarando inutile e crudele il trattamento ricevuto dai primati

Si intitola "Triggers for mother love" (che potrebbe essere tradotto con: I fattori scatenanti dell'amore materno) ed è uno studio a firma della neuroscienziata Margaret Livingstone, condotto presso l'università di Harvard e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, rivista scientifica e organo ufficiale della United States National Academy of Sciences. Ma quello che veramente la ricerca ha scatenato è stata la reazione di più di 250 scienziati che hanno firmato una lettera indirizzata a PNAS in cui chiedevano una ritrattazione. I gruppi per i diritti degli animali dal canto loro hanno ricordato il lavoro passato di Livingstone, che comprendeva la sutura temporanea delle palpebre di scimmie neonate per studiarne l'impatto sulla loro cognizione.

"Non possiamo chiedere il consenso alle scimmie, ma possiamo smettere di usare, pubblicare e, in questo caso, promuovere attivamente metodi crudeli che causano consapevolmente un'estrema sofferenza", ha scritto Catherine Hobaiter, primatologa dell'Università di St Andrews, coautrice della lettera di ritrattazione.

Lo studio in questione inizia col citare Harry Harlow, psicologo scomparso nel 1981, noto per i suoi esperimenti sui primati, che dimostrò come l’attaccamento infantile tra madre e figlio nei macachi rhesus fosse dovuto prettamente a sensazioni tattili e vicinanza fisica. La conclusione fu che l’isolamento dalla figura materna portava una perturbazione negativa al comportamento sociale dei piccoli che si sarebbe protratta per tutta la vita. Un risultato già chiaro di danno permanente. In più, Harlow aveva evidenziato che le scimmie neonate private della madre formavano forti legami con surrogati inanimati solo se morbidi. Margaret Livingstone ha ritenuto importante verificare se la stessa cosa fosse valida per le madri scimmie post-partum, dimostrando che anche loro prediligono oggetti inanimati solo se morbidi. Il modello per innescare l’attaccamento materno è quindi anche tattile.

Per giungere a questa conclusione, la Livingston ha condotto studi su femmine di macachi separate dai neonati appena partoriti e leggermente sedate per superare il trauma. In questo lasso di tempo ha posizionato uno o due giocattoli vicino loro per verificare poi il comportamento materno. I neonati allontanati sono stati allevati a mano per studiare gli effetti di un'alterata esperienza visiva precoce sullo sviluppo cognitivo.

Lo studio, la motivazione dello stesso e soprattutto il trattamento riservato a madri e figli hanno scatenato un'intensa polemica tra gli scienziati e riacceso il dibattito etico sulla sperimentazione animale.

La Harvard Medical School in un comunicato ha affermato che questi studi "possono aiutare gli scienziati a comprendere il legame materno negli esseri umani e possono indirizzare gli interventi di conforto per aiutare le donne ad affrontare la perdita nel periodo immediatamente successivo a un aborto spontaneo o a un parto morto”.

Forti le reazioni nella comunità scientifica, in particolare da parte di ricercatori sul comportamento animale e primatologi, come Alan McElligot del Centro per la salute animale della City University di Hong Kong, cofirmatario della lettera a PNAS. Alle loro proteste si sono aggiunte quelle di gruppi come People for the Ethical Treatment of Animals (PETA), che si oppone a tutte le forme di sperimentazione animale.

Holly Root-Gutteridge, scienziata del comportamento animale presso l'Università di Lincoln in Gran Bretagna, ha dichiarato che la Livingston "ha semplicemente ignorato tutta la letteratura già esistente sulla teoria dell'attaccamento".

McElligot e Root-Gutteridge sostengono che il caso sia emblematico di un problema più ampio nella ricerca sugli animali, in cui studi e documenti discutibili continuano a passare le revisioni istituzionali e vengono pubblicati su riviste ad alto impatto. Sono numerose le ricerche contestabili in tal senso, aggiungono gli scienziati, come un documento del 2020 dove si esaltava l’efficienza delle trappole per catturare giaguari e puma per studi scientifici in Brasile. O gli studi sugli uistitì, i primati più piccoli al mondo, che prevedevano interventi chirurgici invasivi, dove l’équipe dell'Università del Massachusetts Amherst che ha condotto il lavoro si è difesa affermando che lo studio delle minuscole scimmie è essenziale per comprendere meglio l'Alzheimer nelle persone. Ma molti scienziati sostengono che i risultati si traducono raramente tra le specie.

La tendenza si sta ribaltando per quel che riguarda il testare i farmaci. A settembre, il Senato degli Stati Uniti ha approvato la legge bipartisan FDA Modernization Act, che pone fine all'obbligo di testare i farmaci sperimentali sugli animali prima di procedere alla sperimentazione sull'uomo.

La stragrande maggioranza dei farmaci che superano i test sugli animali falliscono nelle sperimentazioni sull'uomo, mentre le nuove tecnologie come le colture di tessuti, i mini organi e i modelli di intelligenza artificiale stanno riducendo la necessità di utilizzare animali vivi. Senza contare che, visti le ingenti somme che arrivano alle università e agli istutiti, gli animali sono visti il più delle volte come risorse di laboratorio.

L’esperimento di Livingstone, secondo Root-Gutteridge poteva essere studiato su macachi selvatici che perdevano naturalmente i loro piccoli, e ha esortato i neuroscienziati a collaborare con i comportamentisti animali per trovare modi per ridurre al minimo danni e dolore.

(Fonte: lazampa.it)



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