GESTIONE ORSI: UNA COMMEDIA ALL'ITALIANA


di Davide Rufino, Zoologo 

  Facebook


Per l’ultima volta, anche alla luce degli eventi più recenti, voglio fare chiarezza sulla situazione degli orsi in Trentino in modo più possibile chiaro e scevro di sentimentalismi e/o populismo. La gestione di un animale grande e potenzialmente pericoloso come l’orso bruno (Ursus arctos) richiede degli strumenti - fra scienza, conoscenza, mentalità, educazione, rispetto e buon senso - che in Italia purtroppo non abbiamo. Né da parte dei “politici”, che dovrebbero essere i primi, né da parte dei comuni cittadini. Che poi sono quelli che vanno a votare.

LA SITUAZIONE ORSO - Tralasciando la situazione del marsicano (PNALM), che fa storia a sé, focalizziamoci sull’orso bruno sulle Alpi italiane. Una volta diffuso su tutta la catena alpina, l’orso è andato incontro a estinzione locale e virtuale (solo tre esemplari anziani e non più in grado di riprodursi) alla fine degli anni 90 del secolo scorso. Le cause dell’estinzione sono tutte riconducibili all’uomo: riduzione/alterazione dell’habitat e persecuzione diretta poiché considerato una minaccia per l’uomo e per le sue attività. Non c’è bisogno che io mi dilunghi sull’importanza dell’orso bruno: grande carnivoro, specie-ombrello, animale dall’immensa importanza ambientale/ecologica, culturale, antropologica, simbolica. Ergo, la sua estinzione totale sulle Alpi non poteva essere accettata passivamente e doveva essere scongiurata. In altre parole, non sarebbe stato giusto veder sparire dalle nostre montagne una specie come l’orso e per di più con la consapevolezza che la colpa era solo ed esclusivamente dell’uomo: l’ennesima nefandezza ai danni della fauna selvatica e dell’ambiente. Un intervento era sacrosanto ed ecco come ha preso forma il progetto Life Ursus, attentamente valutato e ponderato, che si è posto l’ambizioso obiettivo di tornare ad avere una popolazione stabile di orsi bruni sulle Alpi centro-orientali. Dalla Slovenia, a cavallo tra i due secoli, sono stati “importati” - catturati e poi liberati di nuovo in Trentino - una decina di orsi. L’obiettivo era ottenere, nel giro di alcuni anni, una popolazione stabile e vitale minima (e non massima, come si vuole lasciare a intendere adesso) di 40-60 orsi. Dal punto di vista ambientale l’obiettivo può dirsi egregiamente raggiunto, poiché adesso la popolazione di orsi bruni è stimata in circa 100 capi. Dati e numeri alla mano, Life Ursus è sicuramente un grande successo.
MANCANO EDUCAZIONE E RISPETTO - Se il progetto è stato un successo a livello ambientale, purtroppo lo stesso non si può dire della questione socio-politica. Agli albori di Life Ursus la grande maggioranza dei trentini era a favore dell’operazione, mentre oggi quasi tutti sono contro la presenza dell’orso e si dicono “pentiti”. Fermo restando che la presenza della specie nell’area è sacrosanta/incredibilmente arricchente ed essenziale a livello di biodiversità, e che era ed è doveroso rimediare (almeno in parte) agli errori che hanno portato gli orsi sull’orlo dell’estinzione sulle Alpi, cosa non ha funzionato e cosa non funziona? Come sempre, sono l’approccio totalmente sbagliato al mondo naturale e la mancanza di educazione e rispetto che hanno portato alla situazione odierna. La concezione che troppo spesso la gente ha del mondo naturale è a dir poco distorta: boschi e foreste pensati come grandi giardini, dove muoversi liberamente e svolgere qualsiasi tipo di attività in tutta tranquillità, senza regole e senza tenere minimamente conto della fauna selvatica, del disturbo che l’uomo apporta ad essa e nemmeno del rischio che alcune specie - nella fattispecie l’orso - possono rappresentare. E tutto questo con la pretesa di muoversi sempre come a “casa propria”, come padroni, con arroganza e noncuranza. Il concetto di base tristemente diffuso tra la popolazione è che si deve poter fare ciò che si vuole, che sia correre, schiamazzare, portare cani senza guinzaglio, abbandonare spazzatura e avanzi. Tutto ciò è sbagliato: se negli ambienti naturali è necessario muoversi sempre con rispetto a prescindere per non arrecare stress e disturbo alla fauna selvatica (concetto, questo, davvero proibitivo da comprendere per molti), le precauzioni diventano ancora più importanti se in un’area sono presenti animali potenzialmente pericolosi. In questo caso, avere rispetto e sapere come comportarsi e approcciarsi in caso di incontro diventa essenziale anche per la propria incolumità. E in tal senso, cosa si è fatto e cosa si sta facendo? La popolazione viene educata al giusto comportamento? Ci sono controlli relativamente alla condotta delle persone nelle foreste “condivise” con gli orsi? Purtroppo no. I cittadini non mostrano alcuna voglia di imparare e formarsi per conto loro - evidentemente vivere a stretto contatto con boschi e foreste non è uno stimolo sufficiente per informarsi, anche se nessuno glielo vieterebbe - e non vengono nemmeno aiutati dalle istituzioni. I politici e i governanti, che dovrebbero prendere la popolazione per mano, educarla e istruirla a come vivere sul territorio, sono anzi i primi a non avere la benché minima preparazione a riguardo. La cartellonistica lungo i sentieri evidentemente non basta, così come le solite regole sbandierate qua e là ma che nessuno ascolta: mancano iniziative che coinvolgano attivamente la popolazione, incontri, occasioni di confronto, seminari, iniziative nelle scuole, e infine eventuali sanzioni per chi (e sono tanti) continua a non avere rispetto delle regole. Nulla di tutto questo viene fatto.
MA ALLORA PERCHÉ L’ORSO? - Viene spontaneo chiedersi perché aderire a Life Ursus se poi non si è in grado di gestire il plantigrado. C’è chi dice che l’obiettivo fosse sgraffignare fondi europei, ma a non voler fare i malpensanti (e magari sbaglio) l’orso è stato probabilmente visto - almeno nelle intenzioni - come fiore all’occhiello in un contesto turistico. In altre parole, l’orso doveva essere un’attrazione. Peccato che forse c’era qualcuno convinto che sarebbe stato come liberare sul territorio un peluche. La realtà è ben diversa, gli orsi hanno (fortunatamente) ripopolato queste montagne e - senza considerare i danni alle attività umane, su cui non mi soffermo - gli incontri con le persone si sono fatti man mano più frequenti. A quel punto, sorpresa!, gli orsi hanno fatto una cosa che forse qualcuno non si aspettava: hanno cominciato a comportarsi da orsi. E le istituzioni, come quasi sempre in Italia, reagiscono come sanno fare: non con scienza, coscienza, rispetto per tutte le parti e buon senso, ma con aggressività e propaganda.
RISCHI E INCIDENTI - Negli ultimi anni, se diverse persone possono dire di aver avvistato e/o incontrato un orso senza particolari incidenti, alcuni incontri sono purtroppo sfociati in colluttazioni con conseguenze anche gravi. Gli ultimi, in ordine di tempo, MJ5 a Rabbi e l’aggressione al runner, ucciso da JJ4. Prima ancora, lo scottante “caso Daniza”, M49 e alcuni altri.
ORSI STRUMENTALIZZATI - Ciò che fa amaramente riflettere è che, ogni qualvolta capita un incidente, il governante/politico di turno sembra non aspettare altro per schiumare rabbia, gridare vendetta e fare bieco terrorismo strumentalizzando l’orso a fini elettorali. L’orso - un animale inconsapevole - viene colpevolizzato, utilizzato per instillare nel popolo la paura, trasformato nel nemico pubblico n.1 e usato per raccogliere voti. Giochino che riesce piuttosto bene, considerando che buona parte dei trentini vive e lavora a stretto contatto con la natura. Il politico di turno, dopo aver terrorizzato le persone e dipinto l’orso come “vero problema del Trentino” (quando l’ho letto non ci volevo credere, eppure pare abbia detto proprio così: come se le montagne e le persone del Trentino non avessero altri problemi ben più gravi) si pone come soluzione del “problema” per restare in sella. Lo stesso trucchetto utilizzato da anni, anche a livello nazionale, con gli extracomunitari. L’abbattimento viene così chiesto dal suddetto politico a furor di popolo, popolo che individua così nell’orso lo spauracchio da eliminare per poter vivere finalmente sereni e in pace nei “suoi” boschi.
PERCHÉ GLI ORSI ATTACCANO? - È lecito domandarsi perché gli orsi attacchino l’uomo: l’orso bruno (Ursus arctos), sebbene appartenente all’ordine Carnivora, è in realtà onnivoro e la sua dieta è quasi completamente a base vegetale: frutta, bacche, funghi, foglie, semi. Lo spettro alimentare della dieta basato sulle proteine animali è ristretto a uova, invertebrati e qualche occasionale carcassa. L’orso bruno è raramente “predatore” nel vero senso della parola, e non considera l’uomo una preda: dall’uomo si tiene alla larga, per diffidenza e - diciamolo - fastidio. Dunque, anche se i media tendono a trasmettere il concetto di “aggressioni”, in realtà questi orsi non aggrediscono mai l’uomo di loro sponte ma mettono in atto semplici comportamenti di difesa/reazione a condotte e atteggiamenti sbagliati da parte dell’uomo. Questi comportamenti sbagliati sono ben noti: movimenti bruschi e/o rapidi e/o veloci che possono far trapelare nervosismo o essere percepiti dall’orso come minaccia. Tentativi di difendersi attaccando l’orso con pietre e bastoni, e quella pessima (ma radicata) abitudine di portare il cane nel bosco con conclamata presenza di orsi. Cane spesso addirittura senza guinzaglio (“ma tanto il mio è buono e obbedisce”), che corre e abbaia, che magari aggredisce e corre verso l’orso, ergo percepito dall’orso come minaccia: orso che si innervosisce e reagisce. Infine, orso che passa come “mostro aggressivo” ma che in realtà era nella sua foresta a farsi gli affari suoi e segue alla lettera il suo etogramma. Perché se c’è chi pensa che un orso - animale che può raggiungere e superare i 200 kg di peso - debba raggomitolarsi e fuggire passivamente dinanzi a un cane che abbaia, ho una notizia per costoro: l’orso non è un leprotto e non si comporta come tale. La situazione è ancora più delicata quando l’orso - come è spesso accaduto di recente - è una femmina con prole al seguito. Non c’è bisogno che vi spieghi come una reazione esasperata di difesa sia assolutamente normale quando si tratta di una madre che teme per i suoi piccoli, non capirlo significa essere in malafede e non disporre nemmeno di un briciolo di empatia.
PACOBACE - Il cosiddetto “Pacobace” è il documento di riferimento che stila il piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle Alpi orientali. Doveroso, poiché la gestione di un grande carnivoro potenzialmente pericoloso per l’uomo richiede competenze, scienza e coscienza oltre che rispetto. Non una cosa da fare di pancia, in un verso o nell’altro. Qui l’estremismo, per entrambi i versi, non paga: non si tratta di gestire scoiattoli, toporagni o fringuelli. Il piano d’azione deve tutelare non solo l’orso, ma anche la popolazione umana proprio in funzione della conservazione dell’orso a lungo termine. E il Pacobace prevede la captivazione (cattura e detenzione a vita) di un esemplare problematico, previa il fallimento di ogni altro tentativo di monitoraggio e dissuasione. Come ultima soluzione, persino l’abbattimento. L’abbattimento di un orso è questione delicata, trattandosi di specie protetta a livello europeo e particolarmente protetta dalle leggi nazionali, tuttavia può essere attuata - e a scanso di equivoci, anche il sottoscritto sarebbe a favore - in caso di un orso dalla comprovata pericolosità. Questo non significa che un politico con la bava alla bocca può disporre “di stomaco” dell’abbattimento di un orso, ma che un esemplare che - dopo le dovute analisi, gli studi e le indagini del caso - risulta realmente pericoloso per le persone può essere rimosso. E la rimozione/abbattimento di un orso pericoloso, contrariamente a quanto si può superficialmente pensare, può paradossalmente favorire la conservazione della specie sul territorio a lungo termine. Questo perché un fattore di cui non si può non tenere conto è l’impatto sociale dell’orso: conta moltissimo anche come la gente vede gli orsi, la percezione dell’animale. L’uomo abita ad altissime densità il territorio, inutile girarci intorno: chi vive e lavora a stretto contatto con natura e foreste va tutelato, deve sentirsi quantomeno “protetto” - nei limiti del ragionevole - dalle istituzioni. La presenza di orsi che attaccano deliberatamente le persone, oltre che evidenziare un’effettiva assenza delle istituzioni, non farebbe che peggiorare la percezione - di per sé già “delicata” - che la gente ha dell’orso e inasprirla ulteriormente, portando ad aperta ostilità collettiva. Il che potrebbe sfociare in vera e propria “tacita” istigazione al bracconaggio, o comunque a un substrato sociale ancor meno incline a vedere nell’orso una presenza essenziale e con cui si può convivere. D’altro canto, se le persone si sentiranno più tutelate saranno meno ostili, più serene e inclini ad accettare l’orso come presenza di specie sul territorio. Attenzione però: occorre bene definire cosa significa “orso problematico”. Il Pacobace prevede l’abbattimento come extrema ratio di esemplari “ripetutamente segnalati in centri residenziali”, che “attaccano per difendere la preda (cibo)” orsi che “cercano di penetrare in strutture con presenza umana in atto” o che infine “attaccano senza essere provocati”. Onestamente parlando, nessuno degli esemplari protagonisti degli “attacchi” degli ultimi anni presenta questi requisiti.
ERRORI UMANI - Gli orsi che hanno reagito aggredendo delle persone non erano orsi che andavano a zonzo per le vie di Trento tentando di entrare nelle pasticcerie. Erano e sono orsi sorpresi nel loro habitat, che reagiscono secondo la loro etologia. In alcuni casi provocati da chi non è educato al rispetto e a mantenere il gusto approccio: un runner si muove di corsa, un modo di procedere che può essere percepito come una minaccia. I cani lasciati liberi sono una “provocazione” ancora peggiore. In altri casi si trattava di una madre con la prole, in atteggiamento di difesa. E sullo sfondo permane sempre il problema dell’abituazione, con orsi resi confidenti dall’uomo a causa di cibo deliberatamente lasciato in giro o fortuitamente a disposizione (cassonetti senza le apposite chiusure). Dunque, stiamo parlando solo ed esclusivamente di errori umani, dovuti a mancanza di educazione, di rispetto e di buon senso. La rimozione di un orso effettivamente pericoloso è sacrosanta, per le ragioni già spiegate, ma per definire un orso davvero “problematico” la strada è lunga: si tratta di un orso “pazzo”, che agisce fuori dai suoi schemi etologici, che si avvicina alle persone o le cerca dopo averle associate al cibo, che palesa aggressività, che passa il tempo al di fuori del suo habitat naturale e che può effettivamente diventare una minaccia concreta.
ALTROVE - Il paragone con altre zone del mondo in cui sono presenti orsi (di varie specie) sussiste fino a un certo punto. Altrove, l’essere umano è presente in densità molto minori e gli orsi si muovono in lande selvagge e desolate. Un territorio come l’Italia pone quesiti e questioni ben diverse, ma uno spunto si può prendere: anche in altre zone del mondo gli incidenti capitano e gli esemplari problematici vengono “pacificamente” rimossi, ma la popolazione locale è abituata alla presenza dei plantigradi che vengono visti e concepiti come “parte del tutto”, parte della fauna selvatica che circonda l’uomo. La presenza dell’orso, per farla breve, è considerata “ordinaria”. Gli incidenti sono considerati tali, e messi in preventivo. I turisti, poi, vengono edotti a dovere sui rischi che si corrono e sulle responsabilità che ci si prende a scegliere di addentrarsi nelle foreste. E vengono edotti anche sui comportamenti da tenere: le regole sono scolpite ovunque a caratteri cubitali, esistono controlli e sanzioni anche molto salate. In altre parole, se in qualche modo provochi la reazione di un orso e un conseguente incidente - e se sopravvivi - ti fanno passare la voglia di rifarlo. Non esistono politici che sbavano inneggiando al massacro degli orsi, non esiste la strumentalizzazione che c’è qui e che trova terreno fertile nell’ignoranza populista made in Italy, non esistono ricorsi e controricorsi, non esistono sollevazioni popolari come quelle che si vedono qui e nessuno grida alla vendetta contro “l’orso cattivo”.
COSA NON FUNZIONA? - Come già detto, mancano progetti volti alla conoscenza del mondo naturale, all’educazione ambientale e al gusto approccio coi selvatici. Manca il rispetto. Mancano inoltre i giusti corridoi etologici a contorno del territorio in cui gli orsi hanno preso piede, “isolati” e quasi impossibilitati a muoversi. In un territorio fortemente antropizzato come quello in cui questi orsi vivono, è molto difficile per loro spostarsi e diffondersi su larga scala, sconfinando in altre regioni: questa è la ragione per cui gli orsi adesso sono presenti in densità piuttosto alte. Fermo restando che la gente, fino all’ultimo cittadino, va presa per mano. Alle persone - fin dalla più tenera età - va insegnato cosa è un orso, come comportarsi, come averne rispetto, e soprattutto perché l’orso è importante e perché deve esserci anche se può “dare fastidio”. La tolleranza deve andare di pari passo con la conoscenza.
IL CONCETTO DEL RISCHIO - Alla base di tutto c’è lo status menti dell’uomo moderno secondo cui la natura dev’essere forzatamente piegata al nostro comodo e al nostro volere. Un concetto fondamentalmente errato e fuori da ogni logica: il mondo naturale è per definizione costellato di rischi, e il rischio fa parte del vivere su questo pianeta. Si può indubbiamente mitigare e ridurre al minimo, grazie studi, scienza, conoscenze e buon senso, ma non si può eliminare del tutto. Anche se l’uomo si è talmente estraniato ed alienato dal mondo naturale da aver dimenticato quasi del tutto cosa significa scontare sulla sua pelle le leggi della natura, guai a dimenticare che facciamo parte anche noi della natura e dell’ecosistema. E non possiamo pensare di eliminare o rimuovere qualsiasi cosa possa rappresentare una minaccia o un rischio anche velato ai nostri comodi, al nostro piacere, alle nostre attività e alle nostre comodità. Il rischio va accettato, che si tratti di altre specie animali potenzialmente pericolose così come quando si tratta di frane, valanghe, fulmini, crepacci, terremoti, vulcani, tsunami e via dicendo. Accettare le altre creature e cercare di far quadrare il cerchio promuovendo una convivenza il più possibile armoniosa, accettando anche una minima dose di rischio, è l’unica via per continuare a poter vivere su questo pianeta. Con buona pace di chi, in Trentino, con uno scolapasta in testa parte per fare la crociata contro gli orsi.

Commenti