Nel santuario degli animali salvati da laboratori e macelli. «Per il paese eravamo alieni, ora organizziamo pranzi veg»

 Milano, tra i volontari di Porcikomodi: «Così restituiamo dignità a cinghiali, pecore e asini maltrattati dall’uomo»

Nel santuario degli animali salvati da laboratori e macelli. «Per il paese eravamo alieni, ora organizziamo pranzi veg»

Sara d’Angelo è presidente dell’associazione Vitadacani

Al di là di un cancello verde, oltre uno striscione con la scritta «qui tutti hanno un nome», un gregge di pecore e capre accoglie placido il visitatore. Alcune fanno la siesta, altre brucano l’erba. Tutte, a occhio, se la godono. Due agnellini stanno appiccicati alla loro mamma. Hanno quattro mesi: se non fossero scappati da una fattoria, sarebbero finiti dritti nei piatti del pranzo di Pasqua. È per questo che la mamma è stata chiamata Pasquina, perché è arrivata qui, in questo rifugio per bestie salvate dal macello, qualche giorno prima di domenica 9 aprile.

Benvenuti a Porcikomodi, 55 mila metri quadri di prati, pascoli, alberi e cespugli nelle campagne di Magnago, a Nordovest di Milano, pochi chilometri da Malpensa. Porcikomodi, con le sue oltre 300 bestiole, è uno dei più grandi «santuari degli animali» d’Italia. Santuario in quanto luogo sacro. Sacro perché qui quadrupedi e volatili sono intoccabili, come fossero dei. Questo è il loro posto, il loro tempio. Ci arrivano in seguito a sequestri dell’autorità giudiziaria per maltrattamenti o traffici illeciti, ad abbandoni o fughe oppure, ancora, provengono da allevamenti abusivi e non tracciabili. E sebbene sia l’uomo a gestire Porcikomodi, l’uomo qui è ospite. I padroni di casa sono gli asini e i pony, i maiali e i cinghiali, i polli e le galline, le pecore e le capre, le mucche, i piccioni. Gli umani, al loro servizio.


Panino & Co.

Il perché del nome Porcikomodi è facilmente intuibile. Nell’area riservata ai suini — l’unica inaccessibile agli altri animali per via della peste che colpisce questa specie — alcuni maiali dormono all’ombra delle casette col tetto spiovente fatte a posta per loro, altri si rotolano nel fango, i piccoli sguazzano nelle pozzanghere che neanche Peppa Pig, le scrofe allattano al sole. Fanno i propri porci comodi, appunto. E continueranno a farli finché la natura non avrà deciso che il loro tempo è finito. La natura, non l’uomo. Qui a Porcikomodi gli animali non si macellano, non si sfruttano, non si mungono, non si mangiano. Si amano e basta. E per questo, come fossero persone o pets, tutti hanno un nome. E una storia. «Lui è Panino — dice Sara d’Angelo indicando un maialino, il più piccolo di tutti — devo ricordarmi la crema solare». La crema solare? «Sì, per le orecchie, sennò si bruciano». Ovvio, come non pensarci. Panino è il figlio di una delle dieci scrofe arrivate da un laboratorio farmaceutico: le signore erano tutte incinte, sicché invece che 10 le new entry sono 50 (40 i piccoli). Sara d’Angelo è la madre non biologica di Panino e di tutte le bestie e bestiole che popolano questo bizzarro posto: lei ne è anima e motore, è la presidente di Porcikomodi e di Vitadacani (l’associazione cui fa capo il rifugio).

Strani amici

Sara, dunque, ci presenta Miriam, la pecora che vive da imbucata con i maiali. Nata in Ungheria e destinata a un macello di Bari, Miriam è stata salvata dalla polizia e portata qui, ma aveva tutte e 4 le zampe rotte. Nella «infermeria» ha fatto amicizia con il maiale Frodo Baggins, «ora sono inseparabili, lui è la sua stampella: la sorregge e non la molla un attimo», spiega Sara, che nel frattempo è andata incontro a un cinghiale. Anche il cinghiale è andato incontro a lei. Si è preso una carezza e poi ha fatto la seguente cosa: si è sdraiato pancia e zampe all’aria perché sa che Sara lo coccolerà. Come un cane. Come un gatto. «Lui è Peppo — dice Sara guardando il suo amico con le “zanne” con la dolcezza con cui si guarda un canarino — è arrivato nel santuario che era un cucciolo e prendeva il biberon. Se uscisse di qui, gli sparerebbero subito perché va incontro a tutti». Lasciamo i suini per familiarizzare con i bovini. Ed ecco Willy la testa calda, bovino ribelle che a tre mesi ha scavalcato il recinto di un allevamento veneto e per settimane ha fatto sudare freddo l’intera comunità. Non lo riuscivano a catturare. Quando ce l’hanno fatta, lo hanno portato qui. L’unico luogo in grado di ospitare uno col suo carattere. Poi ci sono gli animali strani, quelli scartati dagli allevamenti. Come Grisù, capra con quattro corna che sembra un drago. Orecchina, pecora nata senza i padiglioni auricolari. Loki, chiamato come il Dio dell’inganno perché sembra un cinghiale ma è un maiale.

I costi

Dei santuari si è parlato di recente a proposito dell’Orsa Jj4. Fra gli animalisti c’è chi ha suggerito di portarla in un santuario per orsi. «Ce ne sono all’estero», spiega Sara snocciolando alcuni nomi. Sara è un’enciclopedia vivente dei santuari. Non per niente è a capo della rete italiana di queste strutture: una ventina, soprattutto al Nord. E spiega che mantenerle è un costo. Quanti soldi servono per sfamare 300 e passa animali, alcuni del peso di oltre 300 chili? Tanti. In più ci si è messa la guerra a far lievitare il costo del fieno. Per capirci: per saziare una pecora servono 50 euro al mese, un maiale 70, una mucca 100. Poi ci sono le spese veterinarie, i farmaci, la riabilitazione. E i dipendenti, che sono 14 e si turnano fra il santuario e il canile accanto (Vitadacani). «Un aiuto prezioso arriva dai volontari e da chi ha scelto di svolgere il servizio civile proprio qui», va avanti d’Angelo.


(Fonte: corriere.it )

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