Dimostrata ancora una volta la piena correlazione fra il mondo della caccia e il bracconaggio
La mattina del 23 maggio 2019, quindi al di fuori del periodo di caccia consentito, due cervi erano stati uccisi all'interno della riserva di caccia di Udine, per questo motivo la Procura di Udine aveva aperto un fascicolo contro tre cacciatori.
Ora è stata pubblicata la sentenza del procedimento nel quale la LAV si era costituita parte civile e che inchioda alle sue responsabilità un cacciatore che però non è stato condannato perché nel frattempo deceduto.
Con le parole dello stesso Giudice che ritiene “certa la prova della commissione del fatto da parte di R.B.A. che, attraverso l'azione dello sparo verso i cervi, ha contemporaneamente dato vita ad infrazioni riconducibili tanto all'art. 544 bis c.p. quanto all'art. 30 L.157/92”. Uccisione di animali e caccia in periodo di divieto generale sono quindi i reati compiuti da questo bracconiere dotato di regolare licenza di caccia.
Tutti gli animali selvatici sono infatti patrimonio indisponibile dello Stato, nessuno se ne può quindi appropriare se non nelle forme e nelle previsioni delle leggi in materia. La sentenza emessa a Udine conferma quindi che anche i cacciatori – pur essendo autorizzati dalla legge ad uccidere milioni di animali ogni anno – quando lo fanno al di fuori delle previsioni normative devono essere puniti come qualsiasi altro cittadino, non possono considerarsi impunibili solo per avere una licenza di caccia in tasca.
La quasi totalità dei procedimenti intentati dalla LAV contro i bracconieri si risolve immancabilmente con la condanna di cacciatori in possesso di regolare licenza di caccia, smentendo così in maniera inequivocabile le affermazioni di alcuni noti politici di riferimento del mondo venatorio sempre pronti ad affermare che i cacciatori sono pienamente rispettosi delle norme e loro stessi i primi veri interessati a contrastare il bracconaggio.
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